Merenda da Bulgari

Sì, avevano ragione: anche a Roma c’erano un sacco di pietre e di muri, grossi come non ne avevo mai visti, vecchi e sicuramente importanti. Ne parlavano i libri, quelli che un giorno avrei imparato a leggere senza fatica. Ma non ci potevo salire, per arrampicarmi fino al gelso bianco a prendere i frutti più alti e maturi. Anzi, lì di gelsi non ce n’erano proprio. Non c’era neanche il mare in fondo alla strada, e io, sette anni da compiere in quell’ultimo scorcio degli anni ’60, avevo le idee ben chiare: continuavo a preferire il giardino di casa mia.
Pensavo questo, mentre andavo con mia madre in giro per il centro; una delle prime volte da quando eravamo arrivati nella capitale dalla nostra piccola isola del sud. Certo, le strade erano più grandi, piene di gente come da noi solo d’estate, ma non c’erano i fornai, i calzolai, né i chioschi dove se ti cadeva il gelato te ne davano subito un altro. E poi, nessuno salutava nessuno, nessuno riconosceva mia madre. Se mi fossi perso, non sarebbe bastato dire il mio nome per trovare qualcuno che mi riportasse a casa. Per le mie misure bambine Roma era fuori portata. Nemmeno le vetrine mi interessavano. Mia madre invece era euforica, a lei facevano l’effetto di un eccitante. Ecco, quella collana, per esempio, era bellissima, bigiotteria di classe e forse era proprio il momento di togliersi uno sfizio. Il cartellino del prezzo diceva 6000; cara, certo, ma si sa, la buona bigiotteria costa quasi quanto i gioielli.
Ci avvicinammo alla porta. Mia madre ha sempre avuto stile ed eleganza e almeno la seconda ha cercato di farla indossare anche a me, finché a vestirmi ci ha pensato lei: eravamo un bel duo. Il commesso aprì la porta con un interruttore elettrico nascosto chissà dove. Entrammo. Ci accolse con un mezzo inchino. I velluti, l’imponenza del locale, quel sussiego: mia madre intuì che qualcosa non corrispondeva ai suoi calcoli. Io guardavo curioso e distratto, pensando che preferivo la bottega del nostro amico farmacista, con le caramelle gommose al mentolo.
«Prego, signora» e mia madre, specchiandosi, cominciò a credere che, dei “Bulgari” indicati dall’insegna, era capitata nel negozio di quello messo meglio in tutta la Bulgaria.
Non batté ciglio nel sapere che quei seimila erano, invece, sei milioni: cifra impossibile per il suo stipendio da impiegata. I diamanti scintillavano spandendo luce sul suo volto giovane.
Tanto valeva goderne per il tempo necessario a trovare un’onorevole via d’uscita. Smise di guardarsi nello specchio barocco. Si voltò verso di me con un sorriso dolcissimo. Chiedeva silenziosamente aiuto in una lingua tutta nostra.
Io la fissai, serio, per un lungo istante.
«No, mamma. Ti fa sembrare vecchia.»
Fu un verdetto di una solennità inappellabile. Nessuno ebbe più margine per insistere. Non sapevo di aver rubato la battuta ad Audrey Hepburn.
Andammo a mangiare il gelato vicino alla fontana di Trevi, ma io non volli buttare monete in quell’acqua che non era salata, non sapeva di alghe.
Però feci attenzione a non far cadere il gelato, e la sera finì così.

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