Mezze stagioni e mezze misure

In un anno imprecisato, sul finire del secolo scorso, cominciò a circolare una voce: non esistono più le mezze stagioni. All’inizio sembrava una boutade, ma la voce, come tutte le voci, prese piede. Oggi è una credenza consolidata al punto che anche l’industria dell’abbigliamento si è adeguata e non esistono più abiti per le mezze stagioni. È evidente, in questi giorni di autunno precoce, girando le strade di qualsiasi città. Signore in sandali, sedute elegantemente in Galleria, che “barbellano” in attesa di un tè caldo. Pendolari in pausa pranzo, il parka indossato alle sette di mattina, che cuociono sotto il sole della una sorbendo un ghiacciolo che dovrebbe ristorarli. Contemporaneamente, nella stessa via, un ragazzo in maglietta e infradito insieme a una ragazza con gli stivali da pioggia e la sciarpa di lana. Mancanza di buon senso, di buon gusto?
Prevalgono ormai solamente gli estremi. Il ragionamento e il giudizio estremi sono la morte del ragionamento e del giudizio, eppure vengono praticati da tutti: giornalisti, intellettuali, politici. Distillare una catena di pensiero prende più tempo che allineare parole d’ordine.
Arrampicarsi sulle sfumature è meno facile che accomodarsi sui colori pieni. Per quanto ormai neglette, mezze misure e mezze stagioni esistono, ma noi, convinti del contrario, ci vestiamo soltanto da estate o da inverno (e con la testa facciamo lo stesso). Da estate nel modo peggiore – braghe corte, canotta e ciabatte anche per le luride strade di città – da inverno con capi tecnici e pesanti, come se dovessimo sopportare temperature da circolo polare. Proprio qui da noi, dove una volta era tutta campagna.

 

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