Dove c’è pasta, c’è casa

Tra le mura di una masseria di tufo dell’entroterra barese ho imparato a fare le orecchiette e i cavatelli. Parte delle mie estati le trascorrevo in Puglia da mia nonna e lì, tra semola e farina di grano duro, sono stata impastata anch’io.
Mia nonna portava con leggerezza il peso dei suoi due cognomi e mi insegnava a lavorar “la massa” e velocizzare il tocco del dito nell’impasto, a volte ridendo, a volte chiacchierando.
Aveva avuto due mariti e qualche amante, quattro figli maschi e rimpiangeva di non avere avuto una figlia femmina. Quando compii quindici anni, nella grande cucina, tra fichi secchi e olive sotto sale, mi parlò del fatto che dopo che era rimasta vedova aveva messo la spirale d’oro, cosa scandalosa per i tempi, e ogni tanto raccontava dei suoi amori passeggeri e della sua scelta di libertà.
Aveva due amiche carissime che abitavano a Bari e che venivano spesso nella masseria, anche loro preparavano le orecchiette e le risate quelle volte erano più frequenti e prolungate.
Ho sempre saputo che le due comari erano una coppia, per mia nonna non era scandaloso, non lo fu mai neppure per me.
La domenica si preparavano le brasciole al sugo per condire la pasta e c’era sempre tanta gente a tavola, a volte anche i mezzadri e le loro famiglie; a volte il maresciallo dei carabinieri che era l’amante di mia nonna, a volte pure le due comari di Bari.
La pasta era sempre al dente e la sostanza dei discorsi si mescolava al profumo del ragù.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna in alto