Mi scappa la pipì.
Che ore saranno? Non è buio pesto ma neppure giorno pieno e lei – fammi controllare – dorme ancora. Aspetto, ma tra non molto bisognerà che io esca.
Ieri sera Eleonora mi ha portato fuori prima del solito. C’era in giro meno gente ma molto più rumore: dalla via dove ci sono le gallerie sporche, quella vicina alla Martesana, arrivavano botti secchi a raffica; ogni volta che ne sente uno, lei salta per aria. Danno molto fastidio anche a me, ora che sono vecchio e, soprattutto, dopo quell’operazione nel cuore della notte; il suo terrore di perdermi era terribile. Mi prende un tremito incontrollabile. So che lei si spaventa più di me, perciò cerco di ridurlo come posso: mi metto al riparo sotto al letto e sto nascosto finché passa.
Abbiamo gironzolato più del solito: avevo capito che mi dovevo spremere come un limone perché altre uscite non le potevo mettere in conto, dati i botti in aumento. Ci siamo soffermati nei giardini condominiali per qualche saluto a gente distratta: «Buon anno» – «Anche a lei e famiglia». Tutto sballato in questa serata: pure la pappa era in ritardo. Quando le ho spiegato che io avevo fame alla stessa ora del giorno prima, mi ha subito riempito la ciotola, sussurrato una sfilza di “bravo” con carezze che però, quando mangio, mi distraggono: se c’è il tuorlo dell’uovo – come ieri sera – sono tutto per lui e me lo sbafo con la prima leccata. Qualcosa sono poi riuscito a farmi dare dalla tavola, da Aldo o da Pina: con la scusa del cenone, per una briciola si poteva anche trasgredire. Lei no, lei ligia, sempre!
Ho visto il suo malessere nello sguardo quando si è piegata verso di me per un grattino sotto l’orecchia. Ho capito che cercava di non ascoltare le rituali note di rammarico: «Certo che tuo padre e io potevamo anche stare da soli, non è vero Aldo? E a portar fuori Bull ci potevo pensare io. Avrei preferito saperti a una festa, a divertirti. Stai sempre in casa, Eleonora! Perché non sei uscita? Possibile che nessuno ti abbia invitato?»
Lei ha silenziato l’insofferenza, io ho pisolato tutta la sera, la televisione è andata a manetta, Aldo e Pina si sono addormentati lì davanti. Li ha svegliati quando i botti insistevano e la televisione urlava; hanno brindato. Ne ho approfittato per salire sul divano e fare un po’ di feste anch’io. Così ho nascosto il tremito, o almeno ho creduto perché lei se ne è accorta lo stesso e mi ha preso in braccio per farmelo passare. Che delizia! Torno cucciolo ogni volta che lo fa. Appoggio la testa sulla sua spalla, vicino al collo, mi ci spingo contro, il più possibile a contatto. So che le piace, mi annusa le orecchie, mi dà piccoli baci ripetuti finché le sbatto.
Siamo andati a letto. Ci siamo abbracciati, lei sotto le coperte, io sopra, ad aspettare che finisse il caos, il mio tremito sempre più smorzato dal suo calore, il suo malessere dissolto dal mio respiro. Ci siamo addormentati.
Ora però mi scappa la pipì. Oh, bene! È sveglia, si alza.
Ciao, sì, sono felice di vederti, usciamo?
Oggi è il giorno dei riti del primo dell’anno: non ci crede ma l’abitudine è quella. Saluterà suo padre Aldo, come primo esponente del sesso maschile incontrato a capodanno, di buon auspicio per entrambi. Poi usciremo: prima di colazione ma dopo la ciabatta; non si scappa: bisogna mettersi di fronte alla porta di ingresso di casa, esprimere un desiderio e poi lanciare la ciabatta, infilata sul piede, contro la porta chiusa, in modo che rimbalzi e atterri.
«Bull, dove hai nascosto le mie ciabatte?»
I suoi piedi annaspano sotto il letto e alla fine le trovano, ma non le avevo spostate io, là in fondo.
«Vieni, Bull; bacio papà, lancio e usciamo».
Credo di aver capito che il desiderio non si avvera se la ciabatta cade girata verso dentro; girata verso fuori, invece sì. Non ho mai indagato sui desideri espressi ma mi pare sia un sistema per sapere se entro l’anno si lascerà la casa paterna con l’anima gemella. Io, al suo posto, mi fiderei più del mio naso che di queste sciocchezze, ma ho visto che la prende sempre come un gioco.
E allora, giochiamo.
È articolato questa volta il desiderio! Quanto ci mette?
Devo stare pronto, attento a non scivolare sul pavimento che Pina si ostina a tirare a lucido con la cera. Ci fosse ancora quel tappeto che ero riuscito a spelacchiare così bene… Ecco, ci siamo. Peso sulle cosce, concentrato, via… Op-là, presa!
«Bull! Ma cosa? Molla subito la ciabatta!»
Non ci penso proprio. Ora che ce l’ho tra i denti, mi diverto come quando ero cucciolo e le distruggevo tutte. Immaginavo fossero prede – topi, visto che Aldo dice che sono un “ciapa rat” – le sbatacchiavo dappertutto talmente forte che si rompevano. Smettevo quando mi girava la testa. Ecco, ora mi gira. Direi che basta.
Aldo ride. Pina è furibonda, anche se la ciabatta non è sua; eppure non ho rotto nulla, credo. Lei mi infila il collare e finalmente usciamo. Mi guarda, vedo la serenità nei suoi occhi mentre l’ascensore ci porta al piano terra.
Nell’aria fredda c’è il solito odore. Se dovessi annusare qualcosa di nuovo e interessante, la avvertirò io.
La guardo e capisce subito: «Grazie, Bull».
Si china, mi abbraccia, mi bacia sotto l’orecchia. Siamo felici.
Racconto tenero e delicato,evocatore di autentici sentimenti di amore e di reciproca dedizione.
grazie!