Domenico ha 23 anni.
Lo chiamavano Mimmo. Unico lavoro trovato era quello alla segheria. Niente di entusiasmante, ma che fare?
I suoi genitori erano figli di quel boom economico che aveva diffuso la convinzione che un titolo di studio era importante, avrebbe fatto la differenza. E Mimmo, senza applicarsi troppo, aveva studiato. Anche oltre la scuola dell’obbligo. Ma questo è un paese dove la scuola, di riforma in riforma, è diventata quasi inutile. Così agli studi fatti, raramente corrisponde una offerta di lavoro adeguata.
Mimmo scattava fotografie. Era il suo modo di comunicare, lui così introverso, lui che non aveva mai la battuta pronta. Gli piaceva immortalare gli oggetti di uso quotidiano. Una caffettiera, il bicchiere di vino, un libro su una sedia. Aveva cominciato a scattare con la vecchia reflex trovata a casa dello zio Virgo. Un cimelio con cui giocare e raccontarsi.
Tutti gli dicevano che era bravo. Che aveva il senso della prospettiva, dei colori. Che nelle sue foto gli oggetti banali sembravano assumere una importanza. In questo paese si parla di reddito di cittadinanza, ma poi non c’è. E se vuoi dedicarti alla fotografia devi trovarti un lavoro. Anche solo per poter comprare una macchina fotografica digitale. Per poter viaggiare e avere altri punti di vista. Avere autonomia di reddito per avere autonomia di vita, si dice.
Mimmo voleva quella autonomia, la voleva più di quanto volesse i baci di Chiara la postina. Quindi non c’era altra possibilità che accettare il lavoro squalificato presso la segheria. Tante ore pagate male, norme di sicurezza quasi mai rispettate. Ma un lavoro è un lavoro. Perché la fotografia è la sua passione. Lavorare ore in più, anche se si è stanchi, per guadagnare poco di più.
Fino a quando quella maledetta segatura, raccolta nel silos dove è caduto, gli ha tolto il respiro. 594 è il numero dei morti per infortunio sul lavoro rilevati quest’anno, fino al mese di settembre.