Ordino un ‘mimosa’ e fingo di aver fatto una buona scelta per la mia dieta: succo di arancia (meglio se spremuta fresca) e champagne o prosecco. Questa la ricetta.
Assaporo e mi sento bene, rinfrescata dalla bevanda salutare e confortata dalla piccola percentuale di alcol.
Giustamente chiamato mimosa per via del colore, questo cocktail mi rimanda all’altro appuntamento col fiore. L‘8 marzo, “festa della donna”. Piccolo fremito di nervosismo. Le delicate palline gialle, composte da sottile polvere, quasi un agglomerato di zafferano in una composizione aggrappata ai rametti, a centinaia, hanno un’aria gioiosa.
Ipocrite anche loro.
Non c’è poi molto da gioire di questi tempi per le donne. Sì certo, se sei nata nella parte giusta del mondo le cose funzionano, sempre che tu non abbia incrociato sul tuo cammino un alcolista che ti riempie di botte o un povero psicopatico che ti ritiene roba sua. Ma se sei nata nella parte sbagliata, che so – medio oriente, africa sub sahariana, certo sudamerica, o parte dell’India, allora sono dolori. Ma che sto a spiegare? Tutte sappiamo!
E allora addio alla cara mimosa, subdolamente bella a marzo, ma divenuta bugiarda, infingarda, leggiadra sì, ma inutile! Noi ce l’abbiamo sempre fatta senza di lei, tirandoci su le maniche o imbracciando il fucile, conquistando terreno strisciando sui gomiti come il soldato Jane.
Che rimanga dov’è, sugli alberi a far la languida, senza cercare di lusingarci col suo profumo, che a voler guardare è anche un po’ sgradevole, ipocrita anche in questo. E se vogliamo dirla tutta, dura anche pochino una volta recisa e infilata in un vaso con l’acqua. Diventa secca, puzzolente e macchia dappertutto con quella sua polverina insidiosa.
Propongo invece un aperitivo adeguatamente strong per l’8 marzo: niente mimosa però, solo Martini, agitato, non shakerato.