Quando visito una mostra, non resisto mai alla tentazione di guardarmi intorno, per trovare possibili condivisioni ai miei stati d’animo. Mi basta uno sguardo, un cenno d’intesa, per entrare nella dimensione universale che Kant riteneva propria del giudizio estetico. O per riceverne smentite irrevocabili. Domenica scorsa, alla mostra che il Palazzo delle Arti di Napoli dedica a Mirò, di fronte alla sua Fornarina , che decostruisce e metamorfosa l’originale, un signore accanto a me, inserito in un gruppo distratto e anche rumoroso, ha la sua ‘nuvoletta’, visibile solo agli attenti malgrado loro, quale io sono, che recita: “E ci voleva Mirò per fare ‘sta schifezza… Lo so fare meglio io, il quadro!” Intercettato dal mio sguardo, da taluni definito laser, arrossisce, si riposiziona in un piglio prossimo al rapimento e parla, mi parla: “Capolavoro!”, è tutto quanto riesce a esprimere, sopraffatto da fatuo entusiasmo. “C’è di meglio” taglio corto, per scongiurare ogni contaminazione.