Non tutti sono adatti alle conversazioni casuali, quelle da sala d’aspetto del medico, o da banchina del treno o da vicino d’ombrellone.
Io per esempio non lo sono.
Mi accorgo che mi prende male quando la mamma dice alla bimba: «Attenta, non ti bagnare i capelli facendo il bagno» o quando le amiche si dilungano un’ora sul trucco smokey, o quando il gruppetto di pensionati si lamenta delle mogli che vogliono scambiare una parola una che non riguardi il calcio. Mi viene da sbadigliare.
O da svuotargli il bicchiere in faccia. Mi viene da alzarmi in piedi e dirgli: «BASTA! Ma che dite?!»
O da malmenare brutalmente i malcapitati.
Invece mi isolo, metto le cuffiette, leggo l’etichetta dei farmaci o la scadenza degli estintori, conto le righe che girano intorno all’ombrellone.
E non lo faccio per questione d’età o di cultura o di alterigia.
È più una questione di saggezza: meglio tenere le mani a freno, non cedere agli eccessi d’ira e restare nei limiti del codice penale.
Meglio uno sganassone in meno e un “Ohmmmm” in più.
E soprattutto, di fronte al conversatore casuale, mantengo l’aplomb tipico dell’ebete: due mezzi sorrisi di circostanza alternati a un «Eh, già».