Missing Italia

Si vocifera di un rientro trionfale (collegato al nuovo corso dettato dallo spoil system?) nei palinsesti televisivi italiani, di un grande classico caduto in disgrazia. Stiamo parlando di un concorso, “Miss Italia”, che evoca già nel titolo atmosfere anni cinquanta, casti bikini in bianco e nero che contengono a stento grazie femminili straripanti più di gioia di vivere che di sesso tout court. Almeno così era al tempo di Sophia e Gina, ma in realtà poco cambiò nel corso dei decenni.

Il nodo da sciogliere, venuto al pettine dei mutamenti sociologici, è evidente: ha senso prendere dieci, cento, mille italiche bellezze, sempre più alte e bionde come le colleghe nordeuropee, e buttarle in lizza con in palio una fascia-premio decisa da un manipolo di uomini allupati?

Detta così, certo che no.

Ma in realtà l’analisi potenziale è più profonda. Forse che le cose andrebbero a posto se, in parallelo, si svolgesse un’analoga gara di estetica virile, con potenziali derive che non sto nemmeno a ipotizzare? O al centro del problema c’è il fatto stesso di una gara che non coinvolge l’ingegno, la capacità o l’abilità in mille settori umani ma solo la pura bellezza, nelle declinazioni che il passare degli anni propone?

Oppure ancora: e se fossero i prodromi dell’ennesima rivoluzione, pronta a scattare al primo ribaltone di governo, con la gara estesa agli ormai infiniti settori del mondo LGBTQ+? Sì, l’idea è ottima. Una settimana intera, a rimpiazzare l’ormai esausto Festival di Sanremo, una categoria al giorno, tutti liberi, eguali e felici e l’audience che schizza a livelli pre-Annunziata, ma che dico, pre-Fazio, ma che dico, pre-Gramellini.

Ritagliate accuratamente questo articolo e conservatelo in un vecchio romanzo dall’inebriante profumo di carta stampata. Tra qualche anno, pochi, scivolerà fuori nel giorno delle grandi pulizie, quelle che includono la libreria, planando con grazia sul parquet. Ed esclamerete, rileggendolo con un sorriso perplesso: aveva ragione lui.

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