La televisione? Un distillato di aggressività. La lite col fidanzato? Un modo per aggredire.
”L’aggressività la ritrova nei salotti; sai, in famiglia è così frustrata!”. “Per fortuna sfoga l’aggressività nel modo di vestire… capirai, con quel fisico infelice, se si mette addosso delle cose normali è un mostro.”
Non si può certo negare che la nostra sia un’epoca in cui di aggressività si parla, nella quale di aggressività si vive, nella quale l’aggressività si subisce e si elargisce. La ingoiamo lavorando, la scateniamo o conteniamo in famiglia, raccogliamo e distribuiamo “vaffa” da e per sconosciuti lungo un viaggio in autostrada. E nemmeno il rapporto donna-moda è esente da aggressività.
È aggressiva la moda o sono piuttosto le donne a farle violenza? Esaminiamo le due facce della medaglia, ché, come sempre, la verità sta nel mezzo. Gli uomini – salvo rare eccezioni – e le donne ad alto tasso di personalità, affrancate dalla schiavitù psicologica del “è di moda e me lo metto”, sostengono che dalla moda siamo condizionate, seviziate, manipolate, straziate, troppo ingoffate o troppo spogliate, stravestite, pervestite, travestite.
E allora, guardiamo le reazioni di questi accusatori davanti a un pezzo di abbigliamento di moda: gli shorts. Dalla bocca degli uomini parte il primo segnale della loro aggressività. Attaccano con la nota di rimpianto: ”Bei tempi quelli delle sottane: allora sì che ti veniva la voglia di infilarci una mano sotto”. Continuano: ”Ma vuoi mettere due belle gambette sotto una mini?”
Taglia come una rasoiata il commento delle donne affrancate: ”Io vestita come la Mangano in Riso amaro, con shorts e calze spesse? Forget about”. ”Ma non scherziamo, a chi mi presento vestita così? Posso pretendere che qualcuno mi offra una notte d’amore? E poi ci lamentiamo perché gli uomini soffrono d’impotenza. Per forza, se lasciamo che la moda ci scarichi addosso tonnellate di aggressività…”
Però se parli con chi la moda la fa, la frittata si gira. Prendono la parola i sostenitori dell’equazione donna=aggressività nei confronti della moda che, a loro dire, esce dal match storpiata, sconvolta, scempiata, scaravoltata, sopraffatta, lesa, offesa, disattesa e vilipesa. E soprattutto, poche volte portata comme il faut e sempre presa alla leggera. Infatti, il creatore, lo stilista, il disegnatore, ti escono con gridolini di meraviglia davanti alla braghetta, alla grintosa giacca da samurai, alla blusa che pare uscita da un quadro di Goya, allo stampato ricavato con studio e pazienza dai preziosi antichi costumi dell’Opera di Pechino. Lui (o Lei) ti freddano: ”Io credo molto in questa idea ma quando sarà preda dell’aggressività femminile che ne sarà?”
È con aggressività e protervia che la culona sceglie a colpo sicuro la braghetta; con aggressività e ignoranza che l’incolta, confondendo il samurai con la perla di Labuan, mette la giacca giapponese sui pantaloni da odalisca; con aggressività e arroganza che la settantenne sfiorita fa sbocciare il collo vizzo dalla blusa goyesca; con aggressività e faciloneria che la mezza calza arricchita, sempre reduce da caotici viaggi, sceglie lo stampato Opera di Pechino e, convinta com’è che un Estremo Oriente vale l’altro, a chi le fa i complimenti dice: ”L’ho preso perché mi ricorda tanto quel naif che ho comperato a Bali…”