MORNING GLORY

L’anno scorso seminai, in tre grossi vasi e mezzo, delle ipomee blu, trascorrendo le prime settimane dalla nascita a rimirarle orgogliosa, come certe madri che vedi, vedi com’è bella mia figlia? nè ma hai visto come è bella la figlia mia? ma che per caso ti sei accorto di com’è bella mia figlia? Che chioma, che portamento, che struttura!
Senonché, per quanto prodigiose e appariscenti, le prospere piantine di fiorire non volevano saperne. Sicuro fu un dispetto di madre natura: «capirai, tutti so’ boni a far nascere un’infestante, la prossima volta che fai, ti vanti delle erbacce che crescono a bordo strada?».
Poi per opera del ragnetto rosso che vi fondò la sua metropoli e con l’aiuto dei vari Caronte, Ernesto spara lesto, limortacci e mannaggialamiseria, la fioritura firmò per la definitiva rinuncia a comparire. A fine stagione, impetuosa anch’io alla pari dei venti ciclonici e delusa come un’amante respinta, diedi la drastica potatura.
Questa primavera, ferma nel mio sdegno e contraria alla rinascita di Acar City, avevo deciso che niente ipomea. Salvo poi ripensarci, in parte, durante uno dei miei attacchi creativo-riciclosi. Per cui un semino fu castigato in un barattolo ex cappuccino Ristora 200g, avvolto nel feltro e appeso al muro. Nonostante la collocazione indegna, la piantina ha assolto al meschino compito coi suoi due tralcetti. A fine settembre, ormai moribonda e spelacchiata l’ho tolta dal muro-vetrina e relegata sul mobiletto-ripostiglio di plastica, là dove osano le cimici.
Non so se è stato per le temperature dolci d’ottobre, per sfancularmi o per l’evidente legame stretto col manico di scopa, ma questa mattina ecco la gloriosa campanella. Un fiore perfetto, compiuto. Blu.
Così è, le cose belle capitano quando non le aspetti più.
Dal canto, anzi cantuccio suo il rosmarino ha messo un muso lungo fino al sottovaso.
«Vedi che anch’io quest’anno sono fiorito, due volte! In primavera e in autunno – prima fioritura in quattro anni. E nel mentre mica sono rimasto qui a pettinare gli acari, nossignore, mi sono fatto spezzare e mangiare, sopravvivo all’inverno e in più profumo, il che, mi pare di arguire dalla tua faccia ebete quando ti fermi qua e mi tocchi, non ti dispiace. Eppure non mi hai dedicato una sola parola, brutta stronza!».
E c’hai ragione tu, Ros, che ti devo dire… Conosci la parabola del figliuol prodigo?

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