Sono belle, le celie. La leggerezza serve, aiuta, diluisce la pece. C’è persino chi è riuscito a ridacchiare di una prostituta minorenne nepotizzata per procura, tanto erano divertenti le barzellette del suo utilizzatore finale.
Però ci sono giorni che nascono rovesci, come audaci calzini rivoluzionari; e io, per non sbagliare, mi fermo un istante.
Un’anziana signora riceve la pensione. Seicento euro, anziché ottocento.
Sa com’è, ci sta la crisi, signo’. Tassa regionale, tassa comunale, Iva (meglio nota come tassa sulla tassa)… e poi, mi dica la verità: quanto ha respirato, oggi? A me risulta abbia incamerato due centilitri d’aria in più, rispetto alla soglia consentita dal suo modulo Isee. Ha qualcosa da dichiarare?
Non ha retto. Come avrebbe potuto, in effetti? Quella donna si è suicidata.
Perché scordiamo che c’è differenza, tra depressione e disperazione, tra patologia e strazio endemico? Il suicidio – bandiera bianca alla malagrazia del destino – pare divenire, all’improvviso, contagioso. Dove eravamo, prima?
Chi governa rassicura: “siamo fuori dalla crisi, si può tornare a investire in Italia”. I piccoli imprenditori sanno che è una menzogna. Qualcuno sceglie il cappio, cravatta macabra da stringere al collo; qualcun altro il fucile, da puntare dritto contro il cuore, il muscolo principe, la sede del languore; e poi c’è chi, di fronte a un credito bancario negato, si dà fuoco. Come quell’esoso cattivo-pagatore (cui i debitori non avevano saldato alcunché) che si è sognato di chiedere in prestito una cifra eccessiva: cinquecentoeuro. E lo scrivo così, attaccato e per lungo, ché almeno sembrino sul serio un sacco di soldi.
Quanto a lungo si resta lucidi, mentre la carne si squaglia sulle ossa? Bruciano più le lingue di fuoco o le fiamme del disonore, della vergogna, della frustrazione?
Quando uno stato induce la gente all’autoeliminazione, cessa di essere tale. Fallisce, e non solo economicamente. Smarrisce il senso, si svuota.
La recessione non colpisce solo noi, popolo di santi, poeti, navigatori e bovini all’anello, abituati a dare del cornuto all’asino. Ma noi, forse più di altri, abbiamo voluto chiudere gli occhi e ora, oltre le palpebre, qualcuno sta cancellando la nostra identità storica.
Ho preso uno stipendio di settecentotredici euro e mi fa rabbia, mi annichilisce, mi devasta la disperazione delle persone normali.
Ma non mi cospargerò il capo di cenere, né di benzina. Perché, nonostante tutto, non siamo noi a dover finire sulla pira.
E poi il carburante costa troppo, per sprecarlo così.