“A casa tutti bene“, l’ultimo film di Gabriele Muccino, non è un capolavoro, sia chiaro. Ma, dopo una partenza lenta, ha il merito di descrivere piuttosto bene lo stato di conflittualità permanente che regna oggi in molte famiglie italiane, rappresentate, come recita uno slogan pubblicitario del film, come “il punto di partenza, di fuga e, poi, di ritorno”.
Banalità, si dirà, ed è innegabilmente vero. Come è però vero che di banalità è intessuta la nostra vita di gente comune e che Muccino, alquanto vituperato per quel vezzo italico di scegliere, a intervalli regolari e in tutti i settori, un capro espiatorio da mettere in croce, la sa mettere in scena con una certa maestria.
Il canovaccio, ambientato nella villa un po’ troppo sontuosa (è villa Gancia, sull’ischitano monte Epomeo) dei due nonni in procinto di festeggiare le nozze d’oro, è in effetti visto e rivisto: la famiglia allargata si riunisce sull’isola, obtorto collo ma non eccessivamente, per volere dei due decani. Ma una maligna mareggiata costringe tutti a prolungare di un giorno o forse più la convivenza, con l’inevitabile insorgere di frustrazioni, esternazioni a brutto muso e rigurgiti di contrasti troppo a lungo covati sotto la cenere di percorsi fatalmente separati, sia individuali che, soprattutto, di coppia. Ma anche di amori effimeri, vissuti con la consapevole disperazione dell’ultima, salvifica spiaggia che non risolve niente ma, almeno, allevia il dolore di vivere.
Niente di trascendentale, insomma. Un copione non certo originale e uno svolgimento privo di quel graffio che fece grande la commedia dei Risi, dei Comencini e dei Monicelli.
Tuttavia, è difficile non riconoscere qualche tratto di ognuno di noi, in ordine sparso, nei piccoli personaggi di Muccino, interpretati da una ciurma di bravi attori italiani in ottima forma. E difficile anche, per questo motivo, non coinvolgersi progressivamente nei drammi di ordinaria mediocrità che, in un crescendo di tensione il film propone: coppie tenute insieme dall’ipocrisia, dall’interesse o dalla voglia di non far male a se stessi o ai figli piccoli o adolescenti; invidie, rancori, malesseri e fallimenti personali mai fino in fondo accettati e digeriti.
Il regista romano, reduce dalla lunga esperienza hollywoodiana, è tornato dunque sul tema a lui più congeniale, la commedia dolceamara che lo aveva rivelato al grande pubblico ai tempi de “L’ultimo bacio”. Per dirci che, nel frattempo, niente è migliorato e che quella generazione di trentenni che affrontava il matrimonio con superficialità e sottile inquietudine si trova adesso alle soglie di una maturità che, come era prevedibile, non ha generato la sospirata tranquillità. Anzi, un domani sempre più precario e incerto sembra profilarsi nell’immediato futuro. Saranno in grado gli adolescenti, unica nota di speranza del film come fu a suo tempo l’eterea fanciulla del famoso finale della “Dolce Vita”, di tracciare la necessaria strada alternativa a una disgregazione così evidente?
Si distinguono, in un cast di prima scelta, l’umanissimo Pierfrancesco Favino e la sottovalutata Sabrina Impacciatore. Menzione d’onore per Massimo Ghini, toccante e sorprendente in un ruolo per lui inusuale.
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