“La terra, le stelle, i pianeti, la vita stessa si reggono su cicli. Il Sole sorge, attraversa il cielo da oriente a occidente e poi tramonta. La Luna attraversa fasi di 28 giorni, dalla Luna Nuova alla Luna Piena, per poi percorrere il cammino inverso. Come un meccanismo perfettamente regolato, tutto procede senza imprevisti, poi, improvvisamente, la Luna sembra sparire dal cielo: è l’eclisse“. L’uomo, nel tepore uterino della sala, aveva smesso di ascoltare il conferenziere che, come un maestro elementare d’altri tempi, illustrava con voce pacata e suadente, accompagnata da gesti larghi e morbidi, il fenomeno celeste.
“Un tempo, quando i nostri avi ancora non avevano gli strumenti per studiare tali accadimenti, la superstizione e l’ignoranza rendevano le persone schiave della paura, tanto che levavano accorate preghiere ai loro dei affinché la Luna potesse riapparire a rischiarare la notte“. Era entrato nel piccolo teatro, forse attratto più dai canapè in bella vista nel foyer lillipuziano, dove era offerto un piccolo rinfresco ai partecipanti, che dall’argomento della conferenza che vi si teneva: LE ECLISSI TRA SCIENZA E MITO. La giornata dicembrina ghiacciava le idee e sbiadiva i tratti, l’umidità sembrava aver intriso i capelli dell’uomo, radi fili nebbiosi, e il suo cappotto cammello, stazzonato come il viso. Accomodandosi in una delle ultime file della platea, lo aveva tuttavia ben ripiegato, appoggiandolo sul sedile accanto al suo. Si era passato poi il fazzoletto sulla fronte, come per sgombrarla da quell’umidore e dai pensieri confusi che sempre più spesso la attraversavano. Aveva bisogno di un po’ di pace. Aveva lasciato scivolare il bacino in avanti e poggiato la nuca sul bordo dello schienale, chiudendo gli occhi con sollievo, consolato dalla carezza inaspettata del velluto. In bocca avvertiva ancora il gusto sapido del salmone che aveva assaporato nel foyer: se ne era lasciato permeare, come fosse essenziale non perderlo.
“Astronomi e astrologi, filosofi e religiosi, scienziati e ciarlatani, per secoli hanno studiato gli effetti delle eclissi sotto ogni punto di vista, giungendo – sia pure per vie diverse e contrastanti – alla conclusione che esse hanno un effetto significativo, oltre che sui fenomeni naturali – quali, ad esempio, le maree – anche sulla nostra vita“. Era uscito dal suo studio prima del solito, congedando innanzi tempo il cliente, proterviamente irritato, che gli esponeva insoddisfazione per il progetto da lui studiato per riattare il suo open space. “Perché vede, architetto, se qui lei mi sistema una paratia di vetrocemento, anziché sfruttare, estremizzandolo, lo spazio per la zona giorno, lei me lo comprime con un effetto gabbietta insopportabile!”. L’effetto gabbietta, in realtà, pareva attanagliare l’architetto ben oltre l’infelice open space del cliente. Si sentiva fisicamente soffocare e il bisogno di aria fresca era una necessità vitale e non solo metaforica. Aveva chiuso la porta del suo studio con la consueta perizia, facendo scattare rumorosamente le due serrature che ne garantivano l’impenetrabilità. Poi, però, era sceso disarticolatamente per le scale, senza attendere l’arrivo del sempre affollato ascensore, rendendo il suo respiro ancora più affannoso, sottolineato da un gorgoglio appena avvertibile, segnale sonoro di un buio temuto. Una volta in strada voleva riprendersi quell’aria che sentiva mancargli, ma quel clima così umido, quel vento così freddo gli avevano ancor più compresso il fiato, come una morsa ai polmoni che ne impedisse la necessaria dilatazione.
“Il termine eclisse deriva dal greco ekleipsis, “venire meno”, riferendosi all’impressione che il corpo celeste paia diminuire di estensione man mano che il fenomeno procede“. Da quando era rimasto solo, spesso si era ritrovato come smarrito. Più volte gli era capitato di iniziare un discorso e di perdere poi il filo del ragionamento, di disegnare un ambiente e di inserirci elementi incongrui, come se, sbadatamente, avesse varcato la porta sbagliata nella casa che la sua mente stava percorrendo e solo in un secondo tempo comprendesse di non poter usare il forno in salotto. E poi quella stanchezza, quella svogliatezza che gli mostrava, crudelmente, l’inanità di ogni suo gesto, di ogni suo incontro, di ogni sua abitudine. “Insopportabile” era la parola che risuonava nei suoi pensieri più frequentemente. “Insopportabile, insopportabile” si ripeteva ogni mattina, quando un viso sconosciuto lo fissava incredulo dallo specchio.
“Evidenti sono i cambiamenti che spesso accompagnano le eclissi: le relazioni tra persone si definiscono, nuove porte si aprono, altre si chiudono per sempre. Se pure non si abbia percezione di una volontà irresistibile di mutamento esistenziale, se pure non si abbia consapevolezza di effettuare un cambiamento, i cambi arrivano da soli, esistono, per così dire, già in nuce“. Aveva provato a confidarsi con qualcuno, il medico col quale condivideva lo studio, ad esempio. Ma questi aveva minimizzato il suo malessere, rassicurandolo sul suo stato di salute, dopo una visita scrupolosa solo nei gesti e i risultati di alcuni esami prescritti, annunciandogli che non aveva nulla se non, forse, un accumulo di stress. Si era persino concesso qualche confidenza con il barista del caffè sotto casa, contravvenendo a quella riservatezza ben nota a chi lo conosceva da anni. Gli erano state offerte avvilite e avvilenti banalità che lo avevano più sconfortato che consolato. Del resto che aveva raccontato di sé? Nulla, se non balbettanti e insensati lampi di situazioni e sensazioni estremamente significative per lui, prive di interesse e logica per gli altri. Una sera, lo ricordava ancora con vergogna, aveva pianto davanti al commercialista del terzo piano, non per il 730, di questo era certo, ma per qualcosa che adesso gli sfuggiva, qualcosa che in quel momento aveva dovuto rivelare al commercialista per l’ottimo motivo che proprio in quell’istante non aveva di fronte altri che lui. Eppure, anche davanti alle lacrime che impudenti e irrefrenabili scaturivano dagli occhi appannati del suo cliente, il commercialista aveva assunto lo stesso atteggiamento del medico e del barista, un imbarazzo infastidito, appena mimetizzato da un atteggiamento falsamente comprensivo e sdrammatizzante.
“Le eclissi di luna di penombra non destano particolare interesse in quanto, durante questi eventi, è difficile stimare la differenza di luminosità subita dalla superficie illuminata del nostro satellite quando questa viene attraversata dal cono di penombra della Terra“. Quando la conferenza ebbe termine, uno scroscio di applausi salutò il congedo del relatore. Il pubblico, poco a poco, vociando allegramente tra commenti e chiacchiere, saluti e battute, abbandonava la sala, accalcandosi all’uscita, in cerca di un cappello lasciato al guardaroba, di un cappotto, o di un ultimo canapè al salmone. L’uomo dal cappotto cammello, invece, non lo indossò. Rimase immobile, con il capo reclinato sullo schienale, gli occhi chiusi. Nessuno se ne accorse, se non la ragazza che, più tardi, si sarebbe occupata delle pulizie del teatro.