NOTTE BIANCA
L’orologio si è fermato.
La bilancia non oscilla. E la notte è più chiara del giorno.
Non c’è più il tempo. Per il mare e il fuoco
è immoto il bagliore dell’alba. Regna il silenzio
lungo queste rive, regna la quiete.
Non c’è più il tempo. La luna è sospesa
nello specchio del cielo. L’aria è chiara
e immobile. E la bilancia non oscilla.
Non c’è il fardello degli anni, delle terribili sventure,
e i gabbiani s’involano in cielo.
Equilibrio. Oh, è terribile l’equilibrio,
è terribile per il mio cuore l’impassibilità.
Hemmarõ, 1948
Lo stupore prende il lettore avvezzo alla prosa e alla saggistica di Nina Berberova quando incontra le sue poesie. Una lirica che narra e racconta, piccole storie in versi in cui sia la punteggiatura sia i dialoghi compaiono come in prosa ma con la lievità e la grazia del verso. Ciò che rende poesia queste storie non è certamente l’andare a capo, ma in una sintassi che procede a incisi sono proprio le cesure secche, spesso a fine verso, che danno alla lirica di Berberova l’ossigeno per decollare dopo ogni punto. E anzitutto il continuo vacillare del verso, in brevi e lunghi, chiusi con un punto o con un enjambement, la creazione di una asimmetria evidente che liricizza e potenzia la parola. Quello che chiede la scrittrice in questi versi sembra la summa del suo pensiero in prosa: chiedere di annullare, evitare l’equilibrio, un equilibrio che risulterebbe una fatale culla per assopire l’attenzione su ciò che accade nel mondo, l’equilibrio che porta a una impassibilità senza scampo. È la dannazione della emigrante russa proveniente da due tradizioni, la russa e l’armena, e destinata a vivere in altre città e continenti per essere libera e al sicuro: una donna con la dannazione di chi è consapevole in tutto, consapevolezza che apre alla geniale eccentricità.
Nina Berberova, Antologia Personale Poesie 1945-1983, Passigli Poesia, Firenze, 2006