Ho programmato il navigatore della mia Jeep con il nome di una stradina di Ramallah come mi ha detto di fare Yeshua. Il miglior cacciatore di teste di Gerusalemme. Una volta arrivati, entriamo in un caffè squallido e puzzolente che una tenda separa da una stanza la cui unica finestra è murata. È una bisca clandestina dove una comunità di Drusi si ritrova per bere e giocare a baloot. Il nostro uomo è al centro del tavolo. Ha la barba da rabbino. Soltanto la barba. È un ebreo che fa affari con gli arabi. Truffatore, ricettatore, falsario. Un piccolo delinquente con gli occhi taglienti come uno jambya. Mentre la mano di Yeshua lo indica, una luce, una specie di occhio di bue, lo inquadra. Matthyahu (così si chiama il nostro uomo) porta l’indice della mano sinistra al petto come a dire «ce l’avete con me?»
I gesti sono sicuri, ma gli occhi svelano il suo terrore. Sotto il tavolo la mano destra certamente già impugna il coltello. Tutto resta immobile: la luce, la mano del cacciatore, quella del cacciato, gli sguardi sorpresi di alcuni avventori e quelli distratti di altri. Per un attimo sento una mosca volare. Poi più nulla. Decido di andarmene e lasciare l’headhunter al suo destino, ma questi, rivolto al nostro uomo, ordina: «Vieni con noi!»
Matthyahu, ad un tratto, appare come rasserenato. «Dove andiamo?»
E Yeshua: «Non c’è un cammino, la via si fa con l’andare».