Facebook ha chiuso 23 pagine italiane che condividevano fake news e istigazioni all’odio. Dobbiamo esserne contenti? Io credo di no o non del tutto. Se da un lato è un sollievo sapere che da oggi qualche milione di persone non vedrà più meme e post con notizie false, ingiuriose e razziste, dall’altro non riesco a non pormi delle domande. Facciamo un passo indietro. Facebook è un’azienda privata che ci concede, gratis uno spazio su cui esprimiamo senza filtri tutto ciò che desideriamo, dai gattini di casa alla poesia della Merini, in interconnessione con i 2,3 miliardi di utenti nel mondo, di cui 1 e mezzo connessi almeno una volta al giorno. Non essendo un fate-bene-fratelli vive per fare cassa e lo fa, grazie a noi, utilizzando ogni nostro dato (gattini e Merini inclusi) per rivendere ad altri, spazi pubblicitari su misura. Qui entra in gioco l’Edgerank, l’evoluto e in costante aggiornamento algoritmo di Facebook, che di conseguenza, conoscendo i nostri gusti ci rifila in Home gli argomenti che più clicchiamo insieme alla pubblicità ad hoc che qualcun’altro ha pagato a Facebook. Se sono un amante del jogging, pubblicherò molto in tema e, in cambio, vedrò molte inserzioni da aziende di articoli sportivi. Lo stesso avviene con le Pagine Facebook, se metto like a pagine di poesie di Alda Merini, mi verranno mostrati post di pagine simili sulla poesia. Ecco l’intoppo. Se invece di poesia i miei interessi sono, giusto per fare un esempio, i cimeli del Museo di Predappio, ecco apparire una panoplia di correlati che facilmente giungono alla propaganda ideologica e non e, di necessità, alla politica. Aggiungiamo un paio di fake news e fotomontaggi, condiamo il tutto con un po’ di analfabetismo funzionale e informatico ed ecco che il Museo di Predappio, da cui siamo partiti, ci sembrerà il male minore, rischiando facilmente il pericolo di influenzare con meme e post virali i risultati di competizioni elettorali. Fatti reali e dimostrati. Più difficile, va detto per onestà, dimostrare in concreto quanti voti assoluti valgano.
Quello descritto è parte del processo di Profilazione con cui Facebook fa affari, vendendo mirati spazi pubblicitari e non i nostri dati personali, anche se il caso Cambridge Analytica ha dimostrato che non tutto è sotto controllo. D’altronde, aprendo un profilo FB, diamo un consenso esplicito a molti atti che persino i più informati ignorano. Siamo su una linea di confine, sia per la vastità dei numeri in ballo che per la novità del mezzo. Dove stia l’errore in tutto ciò non so, ma mi pongo le domande di cui dicevo all’inizio.
Possiamo davvero delegare a Facebook (o un social network in generale) il potere di stabilire cosa è vero o falso e, in ultimo, cosa e chi può pubblicare e chi no? Perché l’accesso e la diffusione delle notizie “corrette” e i dati reali non hanno lo stesso successo delle fake news? Nei 153 paesi (pari al 92% del globo terracqueo) in cui Facebook è il social preferito non ci sono ordinamenti costituzionali e leggi che ci proteggano? Perché lo stesso problema non avviene con altri media? Le emittenti televisive, per esempio, trovarono regolamentazione contro il pericolo di compromettere i processi della democrazia se concentrate in un’unica proprietà. Oggi è stata la ong Avaaz che ha fatto le segnalazioni, ma se domani la stessa azione fosse promossa da una ong “malevola” e venissero cancellate pagine pulite o di avversari politici, a che tribunale di Facebook potremmo fare appello? Avete mai provato a far valere le vostre ragioni con Facebook? Vi hanno mai risposto?
Vivo una sensazione strana, come se un arbitro avesse assegnato un rigore ingiusto a favore della mia squadra in un campo senza VAR. Mi fa piacere, magari è anche moralmente corretto perché assegnato alla squadra dei “giusti”, ma eticamente mi crea delle contraddizioni. Non voglio applaudire a nessuna Fahrenheit 451 da qualunque parte provenga e non voglio nemmeno pensare che si debbano mettere in atto censure preventive per tutelare “chi non capisce, chi non distingue, chi non riconosce” come fossero fratelli minus habens dell’intelletto. Si diffonda di più la cultura del dubbio e della verifica. Si vieti di aprire una pagina con un tema che poi cambia quasi a insaputa dei suoi followers. Ci si batta contro i cervelli all’ammasso, da qualsivoglia parte si cerchi di ammassarli. Si migliori l’istruzione nelle scuole, si creino leggi di regolamentazione, si dia potere all’autorità costituita di chiudere quelle pagine, si facciano processi se necessario, ma non deleghiamo la giustizia e il potere di censura a una società privata che non abbiamo eletto nostra rappresentante e che oltretutto (quasi – paese sì, paese no) non paga nemmeno eque tasse.
No, non gioisco, non del tutto.