Non l’accetta ma intelligenza e compassione

La gestazione per altri pone indubbiamente serie questioni etiche. A quella della retribuzione in denaro, ovvero la mercificazione delle madri surrogate, il cosiddetto “utero in affitto”, la risposta di condanna è pressoché unanime, mentre pochi e un po’ sottotono sono i distinguo e i dissensi.
Prima di pronunciarsi, io credo, bisognerebbe tenere presente che i confini tra mercificazione e dono sono storicamente e antropologicamente mobili, non facili da discernere e non misurabili con un unico metro, per di più contemporaneo.
Di per sé, la maternità surrogata è vecchia come il mondo, come attesta il celebre esempio biblico di Abramo e Sarah che impongono ad Agar di giacersi col padrone. Lo sfruttamento della giovane schiava avviene, ovviamente, senza passaggio di danaro, ed è benedetto da Dio, Deus vult! E non solo lui…
Infatti per secoli re, principi e signorotti si sono serviti delle loro favorite anche per creare una riserva di “bastardi” cui attingere all’occorrenza in mancanza di eredi legittimi o per altre manovre politiche, retribuendole con un ulteriore accrescimento di privilegi, status e potere.
Dall’altra parte non è raro che una donna faccia dono di un figlio a una persona o a una coppia con cui ha forti legami di parentela o di amicizia o anche all’intero nucleo familiare.
Una storia di questo tipo, che conosco bene, è quella di una moglie sterile e cronicamente malata che incoraggiò la relazione del marito con la sorella e accolse come un proprio figlio il bambino che ne nacque. Con beneficio di tutti i membri della famiglia, che “vissero felici e contenti” senza subire ostracismi e discriminazioni da parte della comunità.
Questa vicenda, che si colloca nella Puglia di metà Ottocento, dimostra quanto la società italiana di allora fosse molto più tollerante e meno bacchettona di quanto solitamente si creda. Soprattutto, meno astrattamente schematica di quella attuale.
Tra la donazione pura e lo sfruttamento di povere donne vittime di un traffico turpe, sembra esserci oggi una vasta terra di mezzo abitata da aspiranti genitori responsabili e da donne seriamente motivate, non da venalità ma dal desiderio di dare un figlio a dei totali estranei che non possono averne. (Che siano un po’ matte, narcisiste patologiche, in preda a deliri di onnipotenza o a strane manie religiose? Può darsi, ma non conta.)
E’ un territorio che andrebbe esplorato, mappato e scavato in profondità con intelligenza e compassione, intese in senso etimologico e filosofico.
Benché, certo, sia un procedimento più faticoso, laborioso e lento che tagliare il problema con l’accetta, emettere sentenze e schierarsi in automatico secondo linee ferocemente manichee, come accade purtroppo sempre più spesso, e in ogni campo.

10 commenti su “Non l’accetta ma intelligenza e compassione”

  1. Franca Fossati

    Tra le tante ragioni che mi rendono contraria alla gpa quella più forte è proprio la natura del contratto: il fatto che la “madre” provvisoria non possa cambiare idea durante e dopo la gestazione. Considero infatti, a partire dalla mia esperienza, la gravidanza un percorso, il divenire di una relazione. E una relazione lunga nove mesi può mettere in discussione la scelta iniziale qualunque sia il motivo, economico o altruistico, per il quale si era data la disponibilità alla gestazione per altri.. Anche per questo trovo eticamente inaccettabile che una donna o un uomo chieda a una donna di imprestare il proprio corpo per produrre un essere umano. Siamo unità fisiopsichiche, non si può separare l’utero dalla mente, dai sentimenti, dai desideri. Non credo invece ai divieti, penso che la questione vada affrontata in termini etici e culturali.

    1. Giovanna Nuvoletti

      credo sia abbastanza immorale, ma se la donna accetta liberamente, e sottolineo liberamente non arrivo a considerarlo reato. Anche perché con la domanda che c’è, se è proibita la GPA resta e diventa clandestina, pericolosa, sfruttativa, feroce: perché senza regole.

  2. Luciana Tartaglia

    Sono d’accordo con l’articolo. Equilibrato e condivisibile. La scienza progredisce e ‘i limiti’ si spostano sempre più avanti, che ci piaccia o no.
    Chi avrebbe pensato di poter trapiantare organi altrui? Eppure ora così si salvano vite.
    Personalmente, credo, non ricorrerei alla GPA e scoraggerei chi volesse farlo e mi chiedesse un parere. Ma ciò soltanto perché è una pratica lunga, faticosa, costosa, che può lasciare talvolta ‘segni’ in chi la fa e in chi la commissiona. Ma non ne sono contraria ‘per principio’. Il desiderio di maternità/paternità è talvolta così forte e prepotente che davvero non mi sento né di giudicare tanto più di demonizzare. Chi ricorre alla GPA non lo fa a cuor leggero, lo fa dopo lunghi ripensamenti e drammi interiori, seguendo un percorso tortuoso e doloroso, individuale e di coppia. Chi accetta di essere donatrice può davvero essere mossa da generosità e volontà di aiutare i potenziali genitori. È importante però che le leggi siano vincolanti. So che in alcuni paesi civili lo sono. Si pagano i costi della gravidanza, certo, ma la donna che partorisce deve avere altri figli e non essere in condizioni disagiate…
    Il bambino/a sarà accolto con amore perché desiderato così tanto da essere stati disponibili a sospendere per lungo tempo la propria vita e ad affrontare qualcosa di inedito e sconosciuto.
    Quasi sempre, da un paio di casi che conosco, si struttura e consolida un rapporto di amicizia e riconoscenza tra la donna che ha partorito e i nuovi genitori. Ricordiamo che spesso ricorrono alla GPA maschi omosessuali, a cui è rifiutata l’adozione in quanto tali.
    Insomma per concludere, sono sempre convinta che le ‘proibizioni’ servano sempre poco: si aggirano.
    Sono per la massima libertà associata alla massima responsabilità e credo che, forse, possa anche esistere una generosità fine a se stessa.

  3. Condivido anch’io. E’una materia delicatissima, sulla quale, intervenendo con l’accetta, si farebbero solo danni. E, come è stato già detto, le proibizioni si aggirano.
    L’importante è che siano monitorate e regolamentate le condizioni in cui si attua la gestazione per altri, rimuovendo così tutte le possibili negatività e disagi per tutti coloro che vi partecipano.

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