Il recente annullamento delle elezioni presidenziali in Romania ad opera della Corte Costituzionale, che avrebbe ravvisato ingerenze da parte di potenze straniere tali da inficiarne il risultato, rappresenta un fatto storico che investe ogni democrazia occidentale perché sotto accusa, oltre ai funzionari corrotti, ci sarebbero anche i social, TikTok in particolare, che si sarebbe rivelato il primo veicolo per manipolare il voto, risultato favorevole al candidato di estrema destra ed espressamente filoputiniano.
Una simile e grave decisione, giova premetterlo, è arrivata dopo che il riconteggio dei voti aveva confermato il risultato, motivo che ha spinto il Presidente uscente a parlare di “voto influenzato” per giustificarne l’annullamento mentre già migliaia di rumeni all’estero stavano per votare, aggiungendo a margine che la Romania “resterà un Paese solido, pro-europeo e pro-Nato”.
Il primo, e forse più importante dettaglio sul quale riflettere, sta nel concetto di “voto influenzato”, come se avessero scoperto solo ora il potere dei social e delle figure che, attraverso loro, oggi vantano milioni di follower, gli influencer.
Da tempo si parla di socialcrazia come della capacità dei social di modificare usi, costumi e regole di una società, un po’ come fu per l’avvento della tv commerciale in Italia nei primi anni ’80, così potente da influenzare anche la politica e generare il Berlusconismo. Quanto avvenuto farebbe pensare ad un’ulteriore degenerazione del fenomeno e, dal momento che parliamo di Romania, sembrerebbe che, oltre al famoso Dracula, abbia dato i natali ad un altro mostro, un NosferaTiktok che, come il celebre vampiro, si nasconderebbe nell’oscurità del web pronto a nutrirsi non di sangue ma di democrazia.
Ciò che sta accadendo in Romania, per la prima volta, denuncia la socialcrazia come antagonista della democrazia, in grado addirittura di smuovere milioni di voti e, così, spostare l’asse geopolitico di un Paese, riuscendo a soggiogare la volontà degli elettori, ridotti a famigli, termine che indica i servi diurni di un vampiro. Una simile lettura, certamente preoccupante, alimenta tuttavia alcuni dubbi.
Innanzitutto è ormai assodato che i social siano diventati parte della nostra quotidianità, quasi un nuovo e imprescindibile organo vitale: provate a lasciare spento per un giorno lo smartphone se non ci credete. Inoltre, se resta gravissimo il rischio di una possibile ingerenza nelle elezioni, in tema di uso distorto dei social non si possono sminuire nemmeno, ad esempio, le ormai famose challenge, che hanno provocato migliaia di vittime, soprattutto tra i giovani, senza che a nessuno venisse in mente di chiuderli. Se parliamo poi di “influenzare” le scelte dei cittadini, nel campo commerciale gli esempi si sprecano: basta un influencer con qualche milionata di follower per mettere in crisi un’azienda parlandone male o, al contrario, sponsorizzare un prodotto scadente aumentandone il prezzo semplicemente apponendo la propria faccia sulla confezione. Tutto questo, fino a ieri, era considerata una tollerabile controindicazione rispetto alle opportunità della socialcrazia, vista come allargamento degli orizzonti di condivisione, informazione e quindi democrazia.
Ciò premesso, dobbiamo ammettere che l’”influenza” denunciata in Romania non è molto diversa da quella che ciascuno di noi subisce ogni giorno nel momento esatto in cui posa gli occhi su uno schermo, politica compresa: basti pensare agli endorsment di tanti influencer stranieri verso i candidati USA. Così non può passare in secondo piano, però, che i cittadini rumeni si siano effettivamente espressi, come dimostra il riconteggio dei voti, fatto che rende paradossale l’annullamento di un’elezione democraticamente legittima in nome della democrazia stessa.
Rispetto ad un tale paradosso sono due le interpretazioni possibili, con le conseguenti reazioni: la prima, che ammette la possibilità di una corruzione di massa del voto a mezzo social, può portare a bloccare ogni elezione, se pure democraticamente legittima, sulla base del sospetto di “influenze” sul risultato. Non è necessario dilungarsi sui rischi di dittatura che un simile metodo aprirebbe. Dall’altro lato si pone la soluzione più impegnativa: accettare che la battaglia per la democrazia si combatte anche all’interno dei social e che a prevalere sarà l’esercito in grado di mettere in campo più sponsorizzazioni, influencer e follower.
A meno di voler credere all’esistenza di un NosferaTiktok che si materializza solo per corrompere quando viene sovvertito un esito, sperato da chi, in quel momento, si professa custode di valori e democrazia.
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Nota redazionale – Sembra anche a noi giusto richiamare l’attenzione sul fatto che l’annullamento di una consultazione elettorale sia un fatto straordinario, che merita una riflessione molto attenta per i rischi che possono derivarne. E’ effettivamente paradossale annullare in nome della democrazia un atto democratico come una votazione. Condividiamo anche la sottolineatura a proposito del voto influenzato; in una certa misura e con tecniche diverse il voto è sempre influenzato (o influenzabile) anche in regimi democratici, altrimenti non si spiegherebbe il ricorso alla propaganda; di qui il giusto richiamo alla necessità, per tutti, di combattere la battaglia per la democrazia anche all’interno dei social.
Il punto di vista dell’articolo che qui sopra pubblichiamo ci sembra, tuttavia, parziale e unilaterale perché ignora il dato specifico e a nostro avviso gravissimo, dell’episodio in esame: l’influenza, questa volta, è stata organizzata e diretta da una potenza esterna al paese in questione, la Romania; una potenza – la Russia – che non è certo un modello di democrazia e interviene con tutti gli strumenti, a cominciare da quelli delle guerre tradizionali, nelle vicende politiche di altri paesi con obiettivi di dominio imperiale e di sottomissione politica e culturale, come dimostra tutto quanto avviene dall’Ucraina, alla Moldavia, alla Georgia.
Le ingerenze denunciate dalla Corte Costituzionale rumena sono sostenute da prove documentali difficilmente contestabili; sono state messe in atto non da generiche ‘potenze straniere’, ma da quella potenza straniera, che ha i caratteri e gli obiettivi appena ricordati. Nel quadro, per di più, di una diffusa e documentata denuncia da parte di altre democrazie europee per episodi analoghi che durano da anni (cominciano almeno dalla brexit) e che si vanno diffondendo e intensificando al punto da suscitare comprensibili allarmi. Che cosa diremmo se invece di milioni di messaggi artefatti da algoritmi potenti sapientemente orientati e finalizzati, scoprissimo che una grande potenza autocratica, per avvantaggiare un partecipante a una elezione democratica di un altro Paese gli fornisce milioni di euro?
C’è un secondo punto, anch’esso molto importante, che ci sembra trascurato: un punto che riguarda specificamente i social, la loro evoluzione, la loro rapidissima crescite tecnologica indotta dall’intelligenza artificiale. Conosciamo la difficoltà e la renitenza a controllare i social da parte delle democrazie, consapevoli del valore della libertà di espressione; i vari dispotismi invece lo fanno, come dimostrano la Cina, l’Iran e molti altri. Le difficoltà sono accresciute dal fatto che il web non conosce confini a meno di non usare mezzi propri dei regimi che gestiscono in modo totalitario gli accessi alle frequenze. Il confronto con gli esordi della Tv (ma si potrebbe aggiungere la radio, e risalire anche alla stampa) vale solo per una faccia della medaglia. Certamente, la competizione democratica richiede che ci si attrezzi per usare al meglio i nuovi potentissimi strumenti che l’innovazione mette a disposizione di tutti. Ma l’abilità e l’intelligenza dei diversi soggetti non basta per rendere la competizione sicuramente democratica; è necessaria (ecco l’altra faccia della medaglia) la garanzia del pluralismo, da cui dipendono anche la trasparenza e la verificabilità dei messaggi. Qui si annida un problema nuovo. I social consentono di nascondere l’origine dei messaggi e di aggirare, addirittura vanificare per un tempo non breve, la verificabilità del messaggio, cosicché possono assumere una potenza talvolta devastante le fake news, le dichiarazioni e perfino le immagini non veritiere. Questa disattenzione è molto pericolosa perché induce a trascurare un problema che secondo molti specialisti e studiosi – e, modestamente, anche secondo noi – è cruciale per la buona salute della democrazia nei tempi presenti e ancor più in quelli prossimi futuri.
Forniamo al lettore queste nostre riflessioni contestualmente all’articolo – come abbiamo fatto in altre occasioni – per l’importanza che annettiamo all’argomento, auspicando che altre voci, altri punti di vista, altri approfondimenti si aggiungano. Troveranno sicura accoglienza nello spazio de larivistaintelligente.
interessante la discussione
Certamente la forza dei social
è molto forte perché spesso eterodiretta anche da Istituzioni politiche se non da espressioni dirette di organizzazioni facenti parte di un governo che diffonde una “propria verità”. A questo ora di aggiunge un pericolo crescente dato dal potere di gestione del sistema satellitare di Elon Musk (il più grande e scientificamente avanzato del mondo) che sicuramente influenzerà “l’informazione” dei governi legati agli interessi degli “amici” di Elon (Giorgia compresa). Mala tempora currunt!
credo la situazione sia peggiore di quel che appare – sono anni e anni che fake news e peggio compiono la loro guerra non lineare sui nostri schermi. E milioni e milioni di polli frustrati o furiosi ci cascano. Sui social si sta veloci, senza pensare. Senza accorgersi di cosa ci sta entrando nella mente e si avviluppa ai nostri visceri. C’è voluta la “scandalosa” decisione della Corte Costituzionale rumena sbatterci la realtà in faccia.