Lei si chiama A., di cognome fa A. e viene da una famiglia di notai di serie A.
Eravamo compagne di università, poi abbiamo preso strade diverse.
A. ha ereditato lo studio di A.A., il padre, ed è diventata lei stessa una notaia di serie A; io insegno Diritto in un istituto per ragionieri e sono una sopravvissuta della riforma Gelmini.
All’università andavo spesso a preparare gli esami chez A. Studiavamo, ma ascoltavamo parecchio anche Prince e i Duran Duran. Le merende erano fantastiche e venivano servite in servizi di porcellana dalla colf Filippina. Ne ho sempre ignorato il vero nome; per A. era solo Filippina, era solo la “qualifica”etnica a contare: – Se nasci zero cosa vuoi che conti il tuo nome? – diceva A. I cucchiaini erano d’argento, con le cifre AAN istoriate, AA Notaio, il nonno, mi spiegò lei, e aggiunse quasi commossa:
– Con questi cucchiaini sorseggiava il caffè Edda.-
– Edda chi, scusa? –
– Ma la Ciano, che domande! Era amica dei nonni. Non sono fascista, ma… tengo ai ricordi di famiglia.-
Non era tuttavia una casa vetero. Un mix sapiente di cimeli Ottocento e di quadri delle transavanguardie, compreso un Sam Scrofa nuovo di zecca che rappresentava in modo iper-realistico Madre Teresa di Calcutta su un B52 sorvolante le rovine metropolitane di Times Square dopo un’ipotetica bomba H. Ero ammirata da A., lo confesso.
Ci siamo reincontrate per caso per strada in questi giorni. Io stravolta correvo a scuola, lei stava facendo fast walking per tenersi in forma. Aveva un Moncler, come negli anni Ottanta, e un paio di Hogan’s. Era rimasta sempre quella ragazza dei tempi del craxismo? Forse non serviva chiederglielo.
Siamo finite a parlare di liberalizzazioni. Un problema di serie A, un problema che la riguardava.
– Cosa credono, di risolvere i problemi d’Italia colpendo noi notai? Credono che siamo noi la casta, in questo paese?
– Devono solo prendere i soldi solo da chi, come me, è precaria a 45 anni e andrà in pensione a 67 anni, se ci andrà? –
– Noi scioperemo contro liberalizzazioni inique. Perché non lo avete fatto anche voi? –
– Noi abbiamo scioperato eccome. Ma sentivamo da qualche parte dentro di noi che i nostri sacrifici erano inevitabili per evitare il crollo totale. Pensavamo all’Italia, più che a noi stessi. –
– Invece la nostra lobby, come la chiamano i giornali filogovernativi, non starà certo a guardare. I miei antenati non hanno certo contribuito all’Unità d’Italia per vedere questo scempio. Noi non ci siamo mai indebitati per avere una vita al di sopra delle nostre possibilità. Noi le nostre possibilità le abbiamo sempre avute, anche prima di nascere. –
– Ma cosa dici? Non eri così classista nemmeno negli anni Ottanta. –
– Sai cosa ti dico io, invece? Noi la vostra crisi non la paghiamo!
Vedo un ghigno sul suo visto liftato e capisco che non c’è niente da fare. La saluto e corro alla mia scuola post-Gelmini. Oggi devo spiegare l’articolo 1 della Costituzione, quello che dice “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”.
Entro nell’aula della III A e sento che oggi farò una lezione migliore del solito.
A ciascuna le sue triple A.