Distinguiamo: la street art, che nobilita e decora luoghi talvolta tristi e monocordi non ha nulla a che fare con il vandalismo dei bombolettari.Non sono disegni quelli che deturpano il centro di Roma ma sigle, scarabocchi giganteschi di tutti i colori, uno sull’altro perché ciò che importa è il proprio marchio, il proprio io, il modo idiota di manifestarsi.
Solo che la tavolozza di questi sedicenti e ignoranti ragazzotti sono i muri seicenteschi, i palazzi storici e, scendendo di valore, sono portoni, saracinesche del centro meraviglioso e ricco di secoli della capitale.
Sgorbi e firme che nascono negli Stati uniti negli anni ’80 nei quartieri ghetto desolati, sono stati importati come molte altre nefaste mode in modo acritico e fuori contesto. Il rispetto e la comprensione della bellezza e la vera arte muore in cervelli di poco conto.
L’opera di William Kentridge sui muri del Lungotevere, impressionante per potenza e significato, è stata ripetutamente deturpata e non ne resterà nulla in poco tempo.
A San Lorenzo, a Roma, il lunghissimo muro con le centinaia di figure bianche che simbolizzano le vittime di femminicidio è stato colpito dalla furia di patetici incivili che non conoscono il rispetto, il valore di un simbolo.
Elettroencefalogramma piatto, privo di pensiero che sa solo distinguere uno spazio vuoto dove esprimersi: è il vuoto che coglie perché è il vuoto che ha dentro.
Girano in gruppetti, zaino tintinnante di bombolette, come giocassero ancora a nascondino e non fossero cresciuti mai. Cercano il posto, magari quel decoroso muro che è stato appena restaurato nella speranza che la civiltà prevalga e si possa restituire dignità almeno visiva a una società allo sbando.
Sporcare è la loro guerra, deteriorare la decenza faticosamente raggiunta da altri. Rovinare marmi antichi, arrampicarsi sulle grondaie fino al terzo piano per mostrare il timbro del loro povero animo coraggioso.
E non è protesta, non è politica, non è un’idea. Ma allora cos’è? Una cosa è certa, è il senso della loro vita che latita.