Odio l’estate

La voce è quella di Bruno Martino. Esce da un televisore in bianco e nero, spalancato su una notte di zanzare e zampironi. È il 1960. L’entusiasmo per l’Italia del boom si respira anche tra le nuvole di Flit, ma in questo odioso capolavoro di quattro minuti i favolosi anni ’60 nascono già finiti. Non voglio fare un paragone da blasfemo, ma Estate rappresenta per la musica quel che Il sorpasso rappresenta per il cinema: l’atto di morte di un decennio non ancora nato e che nella mente di tutti è quello della spensieratezza, della gioia e dello slancio inarrestabile verso il futuro. Odio l’estate, la odio come Eliot odiava l’aprile, che mescola memoria e desiderio. Odio l’estate per lo stesso motivo per cui, nel contempo, la amo: la sua totale mancanza di pudore, prospettiva e senso del passato. Odio l’estate come un amante tradito che vede i propri sogni bruciare nel tramonto e spera di vederli rinascere sotto la neve dell’inverno. Odio l’estate e solo la voce di Bruno Martino, da quella vecchia tv in bianco e nero, mi sa consolare. Dopo di lui ci hanno provato in tanti: Chet Baker, Joao Gilberto, Michel Petrucciani, Vinicio Capossela, i La Crus, Sergio Cammariere, Toots Thielemans, Amalia Grè, Eva Carlson. Ma Bruno Martino rimane insuperabile. È soltanto grazie a lui che lo so. È soltanto grazie a lui che Odio l’estate.

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