Veniva da lontano, da una tavola di Bruegel il Vecchio.
Aveva lasciato il tumulto della folla che si agitava in piazza il mercoledì delle ceneri, quando si celebrava la lotta tra il Carnevale e la Quaresima e lei seguiva il carretto con le ciambelle salate, le cialde, le cozze e le aringhe marinate. Con il suo passo sciancato si era trascinata fino al Molo Beverello di Napoli.
Secca e asciutta, suggeriva l’idea di un fuscello per attizzare il fuoco, l’abito da suora appeso alla gruccia in luogo delle spalle. Era uno scarabocchio, uno sputo di caffè che si notava appena. Sostava tutto il giorno davanti alla biglietteria per l’imbarco.
La docilità e l’aspetto indifeso erano contraddetti dalla furia con cui agitava la cassetta per l’elemosina.
Ci fosse il sole o la pioggia, il suono degli spiccioli contro le pareti di legno era sempre lo stesso: una granata che ti annunciava i tormenti dell’inferno e che ti obbligava a incrociare i suoi occhi piccoli e lucenti: due capocchie di spillo.
Dopo aver acquistato il biglietto, mentre la tua mano raspava ancora il resto, il colpo ti sorprendeva alle spalle, a tradimento. Qualche volta con fastidio, spesso con rassegnazione, anche io lasciavo cadere una moneta nella fessura e, flebile, mi raggiungeva un “Il Signore te ne renda merito”.
Un giorno accadde che nella foga di una discussione a uno dei passeggeri in fila scappò una bestemmia. Imbarazzato, l’uomo si voltò verso di lei, si chinò grattandosi la testa e, con una voce candida, recuperata da chissà quale recesso dell’infanzia, sussurrò: “Perdonatemi, suora”.
Lei, imperterrita, gli accostò la cassetta e, accompagnando lo scossone con un tono di mondana complicità, gli fece: “Non fa niente! Offrilo a Gesù!”