La bellezza dell’opera di Carol, per me sconosciuta, inconsueta e controversa, risiede nella sua assoluta originalità, nell’impossibilità di poterla collocare all’interno di qualsivoglia panorama o corrente artistica. Carol Rama è fuori dagli schemi e dal Coro.
Nasce a Torino il 17 aprile 1918 in un piccolo caseggiato di Via Napione su Po, il cui salotto diverrà casa museo e atelier domestico, in cui transiteranno personaggi di rilievo del fermento culturale post bellico, come Pavese, Calvino, Manganelli, Edoardo Sanguineti, l’amico che le resterà sempre fedele, Casorati che, tra i primi, ne riconoscerà il talento e lo stile sregolato, senza educazione accademica. Talento che le verrà riconosciuto solo in tarda età.
Esordisce nel 1946 con una serie di acquarelli e una mostra che non solo scandalizzerà la borghesia sabauda perbenista del tempo, ma che le costerà una lettera di scomunica dalla Santa Sede. Precorritrice delle tendenze d’avanguardia europee, la PopArt di Andy Warhol e il dadaismo di Man Ray e Duchamp.
Viscerale, introspettiva. Insieme donna e bambina, puttana e santa, assoluta nell’espressione animistica di un tempo interiore che non conosce tempo. Polimorfa perversa, in un erotismo evidente, di una sessualità infantile, in un puro piacere disordinato, che coinvolge tutti i sensi sino a non distinguersi più, oscillando tra femminile e maschile, amalgamando i tratti in un nuovo concetto più esteso di identità. Scandalosamente piacevole. Oscena nel dipingere e nel dar volto non solo all’eros dei sessi femminili e maschili mostrati in primo piano, ma anche alla sgomenta sofferenza dovuta al suicidio del padre e ai disturbi nervosi della madre. Temi sempre trascinanti nella sua pittura come visibili ferite, o feritoie espressive da cui fuoriuscire, volare via.
La minuziosità dei particolari e nei dettagli: piccoli occhi plastificati inseriti nelle tele che non guardano, ma scrutano dentro. Dalle protesi inquietanti all’utilizzo di gomme da pneumatici e di camere d’aria di biciclette, il cui odore esce dalle opere e racconta una storia vissuta e che si racconta da sé: il padre, piccolo industriale di automobili e biciclette, che fallirà, cadendo in rovina.
Perciò, se vi capita, la prossima volta, come me, munitevi di biglietto, andatela a conoscere, vedetela! Donna dalla chioma leonina, autentica signora dell’arte, che se n’è sbattuta di mode, ideologie e generi; irriverente, ribelle, sguaiata, provocatoria, irritante nel rammentarci la sua, e nostra, solitudine affettiva – disarmata e disarmante. Un’artista da amare.