OLGA DANZA: UN VALZER DI CHOPIN

«Mettiti le scarpe! Quelle più usate. Vai a prendere il latte e fai attenzione a non rovesciarlo». È inevitabile. In certi periodi, ancor di più, si sentono. Dal passato, tornano i suoni e le voci. Dentro, qualche frase deflagra, scaraventandoci immediatamente indietro. In un secondo torno bambina, al paese. Torno al doveroso e ingrato compito pomeridiano: qualcuno sbraitava e dovevo andare di corsa a prendere il latte. Indignata, un po’ per gioco e un po’ per dispetto, allora, mi divertivo a far roteare il vecchio pentolino di latta, disegnando un cerchio magico nell’aria sino a rovesciarne il contenuto, che finiva per tracciare una lunga scia luminosa, una polvere di stelle sulla strada sterrata, che andava da casa mia alla cascina di Olga: La lattaia. Lei viveva da sola, impavida. Nonostante l’avvento dei tempi moderni, continuava ad allevare mucche e a distribuire il latte fresco. Non avevo mai ben compreso chi fosse veramente. Sino all’istante in cui, sbirciando da una porticina socchiusa la vidi danzare. Quella donna, sporca di letame, con la pelle rosa, il viso di porcellana, fluttuava nella rozza cucina sulle note di una strana musica, invitandomi gentilmente a entrare nel suo mondo segreto: «Dai Eva, entra in casa! E gira la manovella». Ancor oggi Chopin riesce a far vibrare le corde della mia anima, come la prima volta. E risento le note gracchianti fuoriuscire dallo sgangherato grammofono. Rovistando tra i ricordi, tra le case e le cose, il fotogramma scorre sempre più veloce e rievoca una geografia umana di luoghi e di volti, di presenze che non mi hanno mai davvero lasciata. Certo, allora tutto era diverso: nel microscopico paesino non eravamo moderni. Non come oggi che ci si può vantare, se non d’essere acculturati, almeno più evoluti. Alcuni giorni fa ho letto sul giornale una notizia che mi ha lasciata di stucco: alcuni moderni allevatori obbligano le loro mucche ad ascoltare la musica classica, al solo scopo di produrre più latte. Rabbrividisco. E mi torna la nostalgia di Olga e delle sue mucche. Di Olga e di me bambina, che ammaliata la guardo danzare un valzer di Chopin. Entrambe disperse in quel nulla e senza nulla, o più di tanto, possedere, tranne il sentire. E di far parte, d’esser parte, d’appartenere a qualcosa, a qualcuno – a una poesia, che nulla produce e nulla ha l’ardire d’insegnare. Si fa e ti fa, così, semplicemente, un poco più sorridere e vivere.

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