Oltre il confine

Eraldo non era un tipo religioso.
Così, quando si ammalò (e sembrava a tutti che non ci fosse più niente da fare per lui), pensò subito che il suo viaggio stava finendo per sempre e che non ci sarebbero state alternative.
Il suo momento arrivò, in un giorno come tutti gli altri, per fortuna senza grandi sofferenze, ed Eraldo affrontò la fine munito della tranquilla disperazione che è l’unica risorsa a disposizione di un ateo ottuagenario in quell’estremo frangente.
Immaginate dunque la sua sorpresa quando, a cose avvenute, si rese conto che al di là del confine non c’era il grande buio che aveva tante volte immaginato. Sentiva di essere in qualche modo ancora presente a se stesso, trasferito in una dimensione completamente nuova e inesplorata: l’altro mondo esisteva, allora, era tutto da scoprire e questa era una buonissima notizia.
Eraldo non vedeva, non sentiva più attraverso i sensi cui era abituato nella vita appena lasciata, della quale non aveva già più alcun ricordo. Percepiva però ancora tutto distintamente, in un modo inspiegabile ma chiarissimo.
Ma tutto cosa?
Ciò che “vide”, in fondo a una sorta di tunnel vorticoso, infinitamente remoto ma al tempo stesso incredibilmente vivido e presente, lo meravigliò non poco.
Una linea in movimento avanzava dal fondo del tunnel, danzando in modo allegro e non perfettamente coordinato, verso Eraldo (o quello che Eraldo era diventato). Man mano che la linea si avvicinava, la sua percezione si faceva più nitida, fino a manifestarsi per quello che era: dei piccoli, buffi animali multicolori. Ora poteva distinguere bene i loro strani musi, caratterizzati dalle più svariate espressioni: uno rideva ingenuamente, un altro manteneva un contegno grave, quasi sofferente, un altro ancora esibiva un ghigno cattivo e beffardo. A un certo punto, una bestiola poco più alta delle altre, posizionata al centro dell’assurda fila di ballerini, si staccò e iniziò a volteggiare in un assolo surreale, mentre gli altri sparirono nel nulla. Con un’ultima piroetta lo strano essere planò proprio davanti al nostro amico defunto, accennando un inchino.

“Ciao, sei Eraldo, vero?”
“…sì, sono proprio io. Ma tu… chi sei?”
“Io sono Dio.”
“Dunque, in fin dei conti, esisti.”
“Eh, già.”
“Sono sincero, non me l’aspettavo. E poi così…”
“Così come?”
“Beh, così…insomma lasciamo perdere.”

Eraldo non riusciva a capacitarsi del fatto che il Supremo, l’Onnipotente immaginato per secoli e secoli dagli uomini come l’Entità Massima, creatrice dell’universo, esistesse davvero e, per giunta, avesse l’aspetto di un ridicolo animaletto color turchese con un gran nasone e l’aria incongruamente ebete.

“Ehm…e adesso cosa succede?”
“Niente” replicò Dio con la massima tranquillità. “ Non ci ho ancora pensato, ma qualcosa troveremo. Abbiamo tanto di quel tempo, non c’è motivo di affrettarsi né di preoccuparsi.”

Eraldo annuì, perplesso. Cercò di darsi un contegno, in fondo aveva appena parlato con Dio in persona, se così vogliamo dire.
Ma dentro si sentì terribilmente preoccupato. Anzi, angosciato, terrorizzato perfino, come mai lo era stato nella vita che si era appena lasciata dietro le spalle, e che ora più che mai rimpiangeva.

 

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