Abbiamo già pubblicato la recensione di Costanza Firrao al film Dunkirk. Il film di Christopher Nolan, però, fa discutere e raccoglie giudizi diversi anche fra chi scrive qui e ci segue. Ne riportiamo due esempi che ci sembrano particolarmente stimolanti.
Dubbioso, ironico: Giorgio Cavagnaro
E’ un film, Dunkirk, che non si può certo definire brutto. Intanto, è cinema. Cinema di immagini che restano nella mente, di terra, di acqua e di cielo. Ma con dei vizi importanti, decisivi. Per emozionare davvero ha bisogno della retorica. Ad esempio, viene voglia di dire a Kenneth Branagh: “Ammiraglio,per favore, si sposti e ci lasci vedere il film” (cit.D.Risi). Al regista Nolan invece chiederei: “Perchè provi un piacere quasi sadico nel confondere gli spettatori (memento Memento)? Eh? Perchè?”
Decisamente negativa: Elena Baratti
Sono ben disposta verso il film di Christopher Nolan, il regista che ci ha regalato suggestioni visionarie con Interstellar e che, ora, affronta un pezzo di storia ormai di rado raccontata al cinema: la seconda guerra mondiale, come indica il titolo, Dunkirk. “Ma lo sbarco non è avvenuto a Dunkerque in Francia?”, chiede una ragazza agli amici, entrando nella sala. “Lo sbarco degli alleati in Normandia, dici? Boh”, le risponde uno.
Il film comincia. File di soldati sono allineate su una spiaggia immensa e su pontili. Da un porticciolo di una cittadina tranquilla un civile inglese salpa col suo modesto yacht e si avventura nella Manica. Compare in basso sullo schermo la scritta “giorno 1°”.
Vediamo, in quel giorno 1° e nei seguenti otto, i tentativi disperati di un soldato inglese determinato a salire su una delle navi della Royal Navy che dovrebbero evacuare l’esercito. I militari che riescono a imbarcarsi affogano nelle stive colpite dalle mine, quelli in attesa sulla spiaggia vengono falciati dalle bombe, e, in cielo, un valoroso pilota di Spitfire ingaggia duelli aerei suicidi con la Luftwaffe.
La musica è talmente roboante e invasiva che a fatica sento la domanda “Ma è neve?”: sullo schermo sta scorrendo l’immagine della spiaggia che, per effetto della marea, ribolle di schiuma candida. Mi giro verso il gruppo di ragazzi che ha parlato. Giusta domanda: in che mese siamo e in quale anno della guerra?
Viene raccontato un episodio storico e ogni spettatore, sia o no a conoscenza del fatto, si interroga ed è portato a riflettere sulla tragedia della ritirata inglese, un fatto decisivo per le sorti del conflitto: perché centinaia di migliaia di soldati inglesi finirono intrappolati su quella spiaggia? Dov’è l’armata francese? compare un solo soldato che tenta di spacciarsi per inglese e imbarcarsi.
E come mai i tedeschi – nel film se ne intuisce solo la presenza dietro le dune – non approfittarono del vantaggio per sterminare tutto l’esercito inglese? In più si vedono solo alcune decine di barchette venute a riportare in patria i soldati, quando le immagini d’epoca fotografano la realtà di una mobilitazione enorme, suscitata dal famoso discorso di Churchill.
La Storia in questo film sembra assente. Ho atteso la fine sperando di leggere, prima dei titoli di coda, qualche nota esplicativa, e ho avuto l’impressione di non essere la sola, tra gli spettatori, a restare delusa. Sono cresciuta con il cinema di guerra degli anni ‘40 e ‘50, e da quei film ho imparato anche a riconoscere la peggiore retorica patriottica. In Dunkirk trovo un’altra forma di retorica, più subdola, che fa leva sull’assenza del dato storico e l’enfatizzazione della soggettività drammatica per alimentare il puro coinvolgimento emozionale.