Uno dei tre migliori racconti del corso di scrittura di Valeria Viganò.
Un forte libeccio alza il mare, lo increspa, sparge i flutti disordinatamente. Sotto l’inquieta superficie, nascosti nel gioco dei riflessi fra il cielo cupo e l’acqua grigia, si agitano insidiosi vortici marini. Nella spiaggia deserta, spazzata da masse d’aria repentine e sferzanti, il piccolo Filippo disegna con un dito sulla sabbia, poco più in là, la sorella Adele ascolta i sibili dell’aria e fa danzare dei lunghi nastri di carta colorata. Accanto a lei, la mamma immersa nella lettura del suo quotidiano, alza la testa e con voce sicura le dice “stai con tuo fratello, che ora io vado a nuotare”.
Adele spalanca gli occhi, sulla cima del palo la bandierina rossa sbatte percossa da raffiche implacabili e già la mamma si sta allontanando fra le onde con vigorose bracciate. Eccitata dal suo coraggio, Adele non la perde di vista, si sente piena di ammirazione e curiosità per quella donna che non è la solita mamma incerta e triste dei lunghi pomeriggi solitari a casa, nella grande città.
Un fischio irrompe nell’aria, il bagnino si sta sbracciando, impreca e urla alla nuotatrice che deve rientrare immediatamente. Adele è confusa e troppo tardi si accorge che Filippo si è gettato in acqua per raggiungere la madre; la corrente lo ha afferrato e lo sta rapidamente portando al largo. Il bagnino, all’erta, si è legato con una lunga corda ed è partito all’inseguimento. Nuota con foga e rabbia, fortunosamente riesce ad agguantare il piccolo e lo riporta a riva. La mamma finalmente si è accorta, è rientrata, è con Filippo, gli sta parlando, in piedi con una mano appoggiata sulla sua piccola spalla. Adele non osa avvicinarsi, né tenta di schivare lo sguardo buio, carico di rimprovero e senza scampo della madre.
Dopo un’ora il vento si è placato ed è ritornato il bel tempo. Una lunga fila di bambini arriva marciando sull’arena. Sono gli ospiti di una colonia estiva nascosta nella pineta. Le loro insegnanti li stanno dividendo in gruppi per età, chi a gareggiare con la palla, chi a fare il bagno. Adele se ne sta seduta sulla sua sdraio, immobile, concentrata sui più grandi, maschi e femmine di qualche anno più vecchi di lei. Sono più esperti, disinvolti giocano e scherzano, si prendono in giro. Si sente tentata da loro, ma vergognosa esita, si tiene in disparte, cerca la protezione dell’ombra. Mangia con gli occhi le ragazzine che si slanciano e si incitano fra di loro in una gara di pallavolo contro i maschi. Fino a che il pallone, rotolando fuori dal campo di gioco, le finisce fra i piedi. In quel momento, senza più pensarci si alza, raccoglie la palla e si avvia a passo sicuro per riportarla. Le ragazzine si sono accorte di lei, la stanno aspettando e la salutano con grandi, invitanti sorrisi. Una corrente piacevolmente calda le si muove dentro, come quando, col movimento della terra, il sole riappare e la sua luce fluisce liberando i colori più belli. Molto emozionata Adele si accoccola fra loro, presto tornerà in città e, finita la vacanza, sarà grande abbastanza per giocare anche lei a pallavolo con delle amiche tutte sue.
Seguendo l’orbita autunnale il sole sta calando dietro al profilo dei tetti della città a fianco della rotonda torre medievale. Adele è alla finestra, in attesa dell’invasione degli ultimi raggi arancione dorato, aspetta l’inondazione delle tinte che, scintillando sui muri, modificano gli spazi. La sua immaginazione si incendia per le fiammate di luce viva che la investono: la casa è diventata il castello della torre. Ma Adele non dimentica che la meraviglia durerà poco: quando il sole sparirà, la dimora tornerà deserta e lei si sentirà di nuovo un po’ triste.
Adele e Filippo vivono con i genitori in centro città ai piani alti di uno stabile moderno: lei ha 9 anni, il collo sottile, la pelle nocciola e una massa di capelli ricci, neri come la notte; lui, 6 anni, ha il viso tondo con le gote rosa e i capelli tanto biondi e lisci da sembrare bianchi. Malgrado siano fratello e sorella, crescono distanti l’uno dall’altra; le loro vite orbitano nel silenzio astrale. Tanto placida, costante, sempre pronta a manifestare gioia è Adele, quanto instabile, imprevedibile, rapito da furie inesorabili è Filippo. Le loro giornate trascorrono invisibili l’una all’altro. Benché vivano in spazi attigui, i rumori della vita quotidiana scompaiono assorbiti dalla moquette di lana rasata grigio antracite.
Il tono intenso dell’ arancione degli ultimi raggi al calar del sole è il più amato da Adele che, per il medesimo piumaggio fiammato, ha scelto gli uccellini che saltellano in una gabbietta nella sua camera.
Per Adele i canarini dall’impertinente ciuffo riversato sugli occhietti vivaci sono gli unici amici. Quando la mamma è via, lei si chiude in stanza con loro e di nascosto li lascia scappare dalla gabbia. Trascorre ore trasognata, ascolta i Beatles dal mangiadischi, segue i brevi voli degli uccellini fra i ripiani alti della sua libreria, si diverte ai frullii d’ala quando si rinfrescano nella ciotolina di acqua che lei gli prepara con grande cura. Li immagina abbeverarsi fra cespugli fioriti, sul bordo di laghetti pieni di pesci e animali. Premurosamente li rifornisce di semi di miglio e frutta dolce poi, per rinchiuderli, aggiunge una foglia di lattuga croccante, a loro irresistibile. Adele spensierata e leggera si diletta alla grande varietà di gorgheggi e cinguettii delle bestioline esaltate da quel poco di libertà. Sa che non può permettere al fratellino di stare con lei in quei momenti, di lui non si può fidare, li tormenterebbe senza pentimenti.
Ogni tanto ci prova a giocare con Filippo. Pur di attirarlo escogita mille modi, ma lui si interessa solo ai suoi piccoli cubetti di legno; li tocca, li misura, li impila in una torre finché non cadono, per subito ricominciare, non vuole altri nel suo mondo.
Qualche volta ha rischiato “dai Pippetto vieni che ti faccio vedere la mia gabbietta”, ma lui, svagato e silenzioso, non la considera. Una volta , Adele era talmente frustrata che, con un ghigno, gli aveva rapinato un pezzetto dalla torre, facendola crollare. Erano finiti attaccati come il ferro alla calamita, i corpi caricati dall’ira. Filippo con la furia di un gatto selvatico aveva attaccato la faccia di Adele graffiandola con ferocia. Svelta era arrivata la tata, muscolosa e buona, ma Filippo non molla mai. In questi casi Adele esita a reagire, si perde nel timore di far del male al piccolo. Vede gli occhi grigi della mamma che quando è con Filippo, il suo amatissimo primogenito maschio, si illuminano fino a sprizzare una luce chiarissima, di un verde che a lei ricorda l’erba dei prati. Vorrebbe che la madre guardasse così anche lei.
La sera, andando a letto, Adele si rannicchia nel silenzio e attacca l’orecchio alla parete ascoltando i rumori che provengono dal muro che separa l’abitazione in due. Aldilà il mondo dei grandi dove mamma e papà ricevono gli amici. Fra i mobili d’architetto e le posate d’argento antico, gli ospiti mangiano e bevono discutendo animatamente. Adele sente voci maschili parlare con tono autorevole. Discorsi che non segue, dicono sia politica, i suoni la tranquillizzano. Piena di fiducia aspetta che la mamma si stacchi per venire ad augurarle la buonanotte. Ben pettinata e composta nel suo elegante vestito da sera, la mamma entra in camera per un saluto, si siede appena sul bordo del letto, si china senza chiedere nulla ad Adele della sua giornata o della scuola. Adele si accontenta del leggero bacio sulla fronte e presto si addormenta.
Alla mattina, il camion della nettezza urbana con gran clangore scuote i bidoni della spazzatura, Adele si sveglia ogni volta con la paura che stiano demolendo la casa. Si alza per prepararsi da sola. La tata si preoccupa del fratello, lo trascina nel bagno dei bambini a piastrelle bianche e blu, ma lui non vuole, strilla e scalpita. Il bagno è piccolo, Adele, per prepararsi in tempo deve spingersi in quello del padre. Lo fa controvoglia, papà è immerso nella vasca bollente, un dio pagano nudo e distratto, chiuso nel suo mondo; la adora, ma nemmeno gira la testa quando lei entra. Anche Adele, mentre si lava, preferisce guardare altrove, trattiene il fiato e si trova a fissare le nuvole dense di nebbia, mostri paurosi che inghiottono i cortili e le vie con gli incroci ancora privi di semaforo.
Adele ha iniziato a frequentare la quinta elementare, Filippo sta affrontando la prima. Adele a scuola ha trovato simpatia e affinità con Sole, una compagna di classe tutta riccia come lei. Si cercano tutti i giorni per fare i compiti, vogliono stare assieme anche dopo la scuola. Nell’intimità della camera di Sole, le due bambine sentono nascere una amicizia eterna, irrinunciabile. Quando passa il pomeriggio da Sole, Adele rientra a casa allegra. Quella sera ha portato con sé dei biscotti che la mamma della sua nuova amica ha infornato per lei e il fratello. Cerca Filippo, per certo deve essere in casa. Non trovandolo, apre la porta della propria camera e una inquietante corrente fredda la investe, la finestra è spalancata. Filippo è là sul suo balcone, elettrizzato, deliziato dalla scena degli uccellini in volo, lanciati nel vasto cielo quasi buio. Adele in un lampo capisce e scorge la gabbietta aperta e gettata a terra. Impetuosa come mai prima, la solleva e, urlando “cosa gli hai fatto!”, la getta con tutte le sue forze contro il fratellino. Adele sente risuonare nel suo cuore il battito impazzito dei piccoli cuori che stanno precipitando: i volatili sbattono le ali selvaggiamente, resistono quanto possono, ma inesorabilmente calano verso il basso. Adele risoluta si riprende la gabbia e, senza voltarsi, si lancia giù per le scale di casa. Piano dopo piano corre contro il tempo, contro i gatti predatori, contro la solitudine. Corre più svelta che può, taglia gli angoli, salta gli scalini a due a due per andare ad riacchiapparli al piano terreno. Adele vola e sogna la salvezza per i suoi piccoli amici. Vuole, deve recuperarli! In gara con se stessa, lei arriverà e, prima che spariscano per sempre, potrà raccoglierli e portarli in salvo oltre la notte scura.
Limpido, chissà quanti ricordi di un tempo che fu… molto bello.
Che bello, mi è’ piaciuto tanto.

Mi ha fatto un po’ piangere , povera Adrle e poveri uccellini
Davvero.
Un racconto dolcemente evocativo, reale, non fiabesco, che ti riporta a quei primi anni sessanta. Tanti spunti di riflessione che sento parte del mio vissuto e mi immedesimo con un filo di melanconia
Che bel racconto! Bravissima Emanuela!
Grazie Valeria sei stata la mia marina al primo corso
Magnifico. Pieno di elementi introspettivi, raccontati con pacatezza. E poi un uso sapiente delle parole. Ecc ecc
Mi è molto piaciuto il tuo racconto. Dai fai subito un’altro.
Sì sì sì
molto bello e – da parte mia – totale sintonia su parecchi temi. E pensare che avevo sempre desiderato un fratello…