Padre nostro

Perché è ancora qui? Chi è quest’uomo triste, curvo, senza sorriso, che viene a visitarmi la notte, quando non posso difendermi scrivendo sciocchezze, preoccupandomi del giusto e del futile? Della morte in agguato e di chi vincerà Sanremo, o il campionato?
L’anno prossimo sono cinquant’anni. Sono pochi o sono tutto? Sono il tempo che serve a capire che lui, il padre, non c’è più, e che a ben vedere non ci sono né il giusto, né il futile. Non c’è il campionato e non ci sono le donne, fuggite per sempre. Niente di vero, niente di serio, a parte i sogni.
Ed è proprio lì che lo incontro. Triste, curvo, senza sorriso. Esattamente come me, ora che ho la sua età.
Non mi parla mai. Immagino sia perché il suo linguaggio è astruso, incomprensibile. Il libro Cuore, l’onestà, lo studio, il lavoro. Dio, perfino.
Compare sempre un po’ di tre quarti, a volte ha la sciarpa e pure il cappello. La sciarpa marròn, che era freddoloso e negli ultimi anni ancora di più, sempre con la mantellina di lana per casa.
Gli regalammo un poncho, quello che portava il pistolero dei film. Lui se lo metteva, ma solo per farci piacere, nelle grandi occasioni di famiglia. La mantellina non c’è mai, nelle foto. Nelle foto non c’è quasi mai niente di vero, solo noi nelle nostre misere ambizioni, piccola gloria giusta e futile, poveri noi senza mantellina di lana.
Vuoi forse dirmi che alla fine si arriva tutti lì, al traguardo della tristezza? Da nascondere con ogni mezzo, vergogna suprema, dietro un muro di cartone, per non essere buttati via ancor prima del tempo?
Sarà lo stesso per me? Arriverò in sogno anche io da voi, figli miei adorati, cercherò di esserci, di esserci ancora, di esserci disperatamente come fa lui, in silenzio?

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