Pane, olio e Marx

Da bambino, d’estate, andavo a stare dai miei nonni in campagna.

La mattina trovavo la colazione già pronta in tavola. Zuppa di latte appena munto e pane secco di tre giorni. Nell’aia giocavo a fare il meccanico. Smontavo e rimontavo una vecchia bicicletta troppo alta per salirci su e andare via. Restavo tutto il giorno in compagnia di pietre e lombrichi finché non mi raggiungeva mia nonna.

“Piccolo mio ti vedo un po’ pallido”. Tirava fuori un uovo sbattuto, mi prendeva sulle ginocchia e mi imboccava raccontandomi di Carolina, la sua gallina preferita, quella a cui non avrebbe mai torto il collo. Assecondavo il suo istinto alimentare solo perché mi piaceva ascoltare quella storia.
Qualche volta andavo con mio nonno tra i campi e sedevo accanto a lui sul trattore. Rientravamo insieme a ora di pranzo: lui stanco, io con i fili d’erba tra i capelli. “Il cibo non si spreca”, ammoniva nonno Ciccio. Controvoglia ingurgitavo un piatto di pasta asciutta, la carne degli animali di Cenzo, le verdure dell’orto di Vittorio e la frutta raccolta sull’albero davanti casa.

“Mangia che diventi alto così”, mi incoraggiava mia nonna, e fissava un segno vicino alla parete. Si puliva sul grembiule le mani sporche di farina e di lavori casalinghi e mi dava una carezza sulle guance tonde e rubiconde. Il momento della merenda arrivava alle cinque. Nonna Palmina non faceva i conti col fuso orario e mi bisbigliava: “ma lo sai che gli inglesi proprio in questo istante stanno bevendo il tè?”.

Mi porgeva una fetta di pane lunga venti centimetri, cosparsa di marmellata di mele cotogne che sembrava cemento. Il resto del pomeriggio lo passavo portandomi in giro per i campi la mia merenda, qualche volta, di nascosto, la dividevo con le formiche, così il cibo non andava sprecato, fino alla cena quando in tavola c’erano ancora pomodori, insalate e verdure di stagione.

Mio nonno aveva i baffi ed era marxista. Se beveva un bicchiere di troppo cominciava a ripetere come un disco rotto che il pane va scambiato col sudore e col lavoro. Mia nonna era la moglie di un marxista e non se ne lamentava. Nel loro vocabolario la parola dieta non c’è mai stata.

Nel mio dizionario c’è anche una lunga lista di sinonimi ed estensioni che declino soprattutto quando l’estate si avvicina e mi ritrovo allo specchio a misurare vestiti estivi sopra un profilo invernale. Di tanto in tanto immagino Ciccio e Palmina, anziani e spaesati, a vagare tra le corsie di un supermarket, alle prese con prodotti imballati ed esposti sui bancali.

Sono convinto che se fossero ancora vivi, impallidendo, mi direbbero che a furia di trovare già tutto bello e pronto sono ingrassato.

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