Pasqua de nome

L’ho chiamato Aniello. Forse perché me pareva er nome più vicino alla parola agnello. Chiamandomi Pasqua me pareva er minimo. Così piccolino, nato prima. Un agnellino.
Pure i riccetti c’aveva, e tutti biondi che parevano bianchi. Era buono buono. Come se dice, magnava e dormiva. Il mio bambino. Il mio agnellino.
EPPOI. Stamane so’ annata a trovarlo, che prima de domenica mattina nun ce posso tornà. Gli ho portato la colomba, e puro l’ovo, come quando era piccolino, che era bravo e l’ovo se lo teneva fino alla domenica mattina. Sapeva aspettà, lo guardava pe’ tutta la settimana rigirandoselo nelle mano che quando arrivava domenica e lo apriva lo trovava tutto ciancicato. Ma era contento lo stesso. Sempre contento era.
ADESSO GLI RESTANO TRE MESI EPPOI ESCE. Lui non c’entrava, è stato l’amico suo che la convinto a fare ‘sta bravata. Ma il giudice ha voluto sentì raggione, dice che è colpevole pure quello che tiene il sacco. Che avrà voluto dì, poi. Cosí so’ finiti in cella tutte e due, come i ladroni de Gesù Cristo.
CHE GESÙ CRISTO ME FA STA GRAZIA, PE’ ‘STA PASQUA. Che me lo faccia ritornà bono. Je faccia trovà un lavoro, ‘na brava figlia. Che lo potessi vedè sistemato, co’ ‘na famija sua. Magari pure co’ dei bimbi, che so’ la grazia de Dio. Tutti riccetti pure loro, come pecorelle.
Gesù Cristo che sei morto ‘n croce, famme sta grazia, famme sto regalo. Tu che sei morto in croce in mezzo a due ladroni levame ‘sta croce a me. A me, che de nome faccio Pasqua. GESU, FAMME RESUSCITÀ.

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