Mi chiamo Pasquale.
Sono un agnello. E bruco.
No, non sono psicotico, non è che io creda di essere a volte un ovino, altre una creatura strisciante: “bruco”, vocedelverbobrucare, nel senso di erba.
Non ho vergogna ad affermare di essere felice. Lo so, è una vita fatta di poche cose, magari monotona, ma sono per definizione un semplice e un mite, e non ho grilli per la testa – E’ una metafora, Gigi, non sto parlando di te, smetti di frinire! –
La fattoria è grande, siamo parecchi a dividerci gli spazi, un po’ di tutte le specie.
Io faccio amicizia con tutti, non nutro antipatie.
Ecco, magari a qualcuno mi affeziono di più. Ho fatto coppia fissa per un po’ con un tipo fantastico, con cui mi divertivo un sacco: Natale, il cappone.
Con quella voce da controtenore haendeliano che si ritrovava, lo sentivi a distanze siderali. Caro, vecchio Natale! E’ da qualche mese che non si vede; boh, forse ha cambiato fattoria. Strano, non mi ha detto nulla. Ma c’è chi fa così, chi odia gli addii e parte di soppiatto, senza farsi vedere da nessuno, magari di notte.
E’ arrivata la primavera e sono contento. L’erba è tenerissima e sa di nuovo. Spero solo di non masticare anche Gigi – E dai, scherzo! Su, che la prossima estate mi intontirai ben bene, lo so! – Vado.
La prossima volta che venite, se non sono qui, fatemi chiamare, mi raccomando.
Chiedete di Pasquale, l’agnello. Quello felice.