Amore e morte si scambiano vocali e consonanti. Da sempre. Ma questo non li legittima a sopravvivere. In nome dell’amore e della sua declinazione più terrena, la passione, si pensa di poter aver ragione sulla vita. L’aggettivo passionale abbinato al delitto non ha più senso, non l’ha mai avuto. Nessuna attenuante può giustificare gesti estremi dettati da rabbia e follia, intrisi solo di onnipotenza distruttiva. L’uomo è l’unica specie che uccide la propria femmina per comunicarle il suo amore. Eppure la passione è un istinto animale. Quale alchimia può trasformare l’oro in piombo? Un istinto così vitale, così denso di creatività, di germogli, di trasformazione non può essere abbinato al peggior gesto che l’uomo, comunque, ritiene di aver diritto di fare. Passione è anche sofferenza, certo, e non è il caso di scomodare una croce quando, prima o poi, siamo tutti poveri cristi. La passione è un frutto dolce, forte, succoso, pieno di vita. Da divorare godendo del suo sapore, ma sapendo che non dura, accettando la sua fine e il retrogusto amaro.