Caro Di Maio, illustre Ministro del Lavoro della Repubblica Italiana, per poco – e me ne dispiaccio – non ricado sotto la Sua scure. Leggo sull’ultimo cedolino dell’Inps che la mia retribuzione lorda è di 6.413,52 euro e che tolte le tasse e le varie addizionali, viene trasferita sul mio conto corrente la somma di 3.951,27 euro, naturalmente qui è compresa anche la quota parte di tredicesima. Peccato davvero, Illustre Ministro, per soli 48,73 euro non posso vantarmi di avere una pensione d’oro.
A costo di essere pedante e noioso, desidero intrattenerLa per qualche minuto sulla mia biografia. A diciotto anni appena compiuti sono entrato all’università, corso di laurea in fisica a Roma (ha presente l’Istituto che fu di Enrico Fermi e i ragazzi di via Panisperna?). Dopo 5 anni, nel febbraio del 1971, mi sono laureato in fisica con lode; all’epoca era tollerato – dalla coscienza, ma anche dalle disponibilità economiche delle famiglie – al massimo un anno di fuori corso. Per il decennio successivo sono andato avanti con borse di studio e lavoretti vari. Ho anche scritto un corso di geometria per conto di una scuola per corrispondenza. Insomma, ero un precario, come si direbbe oggi, con moglie a carico: all’epoca si usciva di casa e si metteva su famiglia appena finiti gli studi.
Io, in realtà non mi sono mai considerato un precario. C’era da stringere la cinghia, ma avevo il privilegio di poter continuare i miei studi e le mie ricerche con maestri straordinari, tra Roma, Milano e Pisa. Proprio per questo gli impegni erano molti. C’era sempre un articolo da consegnare o una conferenza che incombeva. Tra studio e lavoro, capirà bene illustre Ministro, le domeniche e buona parte delle vacanze estive le passavo sui libri. Ah, dimenticavo, nel frattempo, benché capofamiglia, dovetti dare alla patria dieci mesi che trascorsi come aviere semplice tra Orvieto e la sede romana dell’Unione Nazionale Ufficiali in Congedo.
Le cose cambiarono con la 382 del 1980, una legge bipartisan che prevedeva una straordinaria e indecente messa in ruolo, con un’ope legis camuffata, di quasi cinquantamila precari. In realtà, tra questi i precari veri erano la minoranza. Buona parte di essi erano funzionari, professionisti, politici, sindacalisti che avevano messo un piede nell’università come professori incaricati, e che tuttavia avrebbero acquisito presto, grazie a un compiacente decreto governativo, la qualifica di ‘stabilizzati’. Così, all’età di 35 anni mi ritrovai nei ruoli dello Stato come ricercatore universitario. A me questa cosa non è mai andata giù; l’ho sempre considerata una macchia, anche se mi sentivo la coscienza a posto, quanto a titoli e a meriti acquisiti. Nei successivi 35 anni, il mio mondo sarebbe stata ancora l’Università dove ho svolto le mie attività didattiche, di ricerca e istituzionali.
Nel 1989 vinsi, in un concorso nazionale, un posto di professore ordinario in Storia della scienza. La mia prima sede è stata Reggio Calabria e successivamente, anche a seguito di seri problemi di salute, mi sono trasferito all’Università de L’Aquila, presso il Dipartimento di scienza umane. Questa è stata la mia ultima sede prima del pensionamento.
Per otto anni ho svolto le mansioni di Preside della Facoltà di Architettura dell’Università di Reggio Calabria. Con i familiari a Roma e dovendo adempiere scrupolosamente a tutti i miei obblighi accademici, in quegli anni ero un assiduo frequentatore di aeroporti. E il tutto, mi creda signor Ministro, senza una lira di indennità.
In cinquant’anni di vita universitaria non ho mai avuto dubbi su una scelta fatta per passione e certo non con l’obiettivo di una vita agiata.
Come forse saprà, anche se la competenza è di un altro Ministro, i professori universitari vanno in pensione a 70 anni – già sento gli spargitori di fango dire: “tanto per quello che fanno”. Ebbene, mi creda: nelle università ci sono anche le persone per bene, quelle che fanno fino in fondo il loro dovere, che considerano l’insegnamento una missione, che si emozionano quando possono recare un contributo, anche piccolo, alla crescita della conoscenza. Illustre Ministro del Lavoro, mi creda: costoro non meritano di essere gettati in pasto alla rabbia populista da un finto Savonarola, che senza essersi neppure documentato, già vede le folle inferocite allestire i roghi nelle piazze. E, come Le ho dimostrato, non parlo per interesse personale.
Demagogia Luigi Di Maio Università