Sono tutti programmi di gran successo e splendido share; raccontano di delitti veri, sempre efferatissimi, si immergono nella cronaca nerissima e ci sguazzano con l’agilità di un pesce baleno. Interviste a parenti, reportage, indagini condotte in proprio, reperimento di testimonianze esclusive, dall’amica al panettiere, al vicino che-mi-pareva-una-così-brava-persona, fino al gatto di casa, con apposito interprete miagolio-italiano.
E poi, accanto agli acuti e addolorati conduttori, fior di esperti: generali della scientifica, criminologi, psichiatri, psicologi, via via fino alla sensitiva che ti guida fino alla cava X, al boschetto Y, o fa dragare il laghetto Z a sommozzatori che non vedevano l’ora.
In più, poiché l’onda va cavalcata, ecco nascere settimanali di nicchia, di black gossip li chiamo io.
Non si gode più nel seguire le estati scopaiole dei vip, o nozze e battesimi coronati; ora ci si compiace nel leggere di esumazioni per ulteriori raffinate indagini, nello scoprire che l’estetista le aveva fatto le sopracciglia mezz’ora prima che la sventurata sparisse, nel sapere che si può prelevare il DNA anche da un pensiero.
Mi chiedo spesso il perché di tutto ciò; i miei limitatissimi mezzi mi impediscono di rispondermi. Sarà la crisi, sarà che il bene è sparito dai nostri panorami, sarà che ci sentiamo talmente sfigati, che leggere o sentire di sfighe peggiori ci solleva l’animo.
Sinceramente non so quali siano le ragioni profonde.
So solo che, mentre scrivo, mi prende un tale sconforto, che pianto lì tutto e vado a spasso. Bye.