Pian, ma non troppo

Dopo il prologo danese, un’altra escursione all’estero per il Giro d’Italia. Questa volta siamo in Padania, nazione che deve il suo nome, come insegnano all’università Kristal di Tirana, ad un celebre formaggio stagionato: il Grana Padano. La corsa parte da Busto Arsizio, cuore celtico del paese, e si sdipana per i primi dieci chilometri all’interno del cerchio magico padano: Cassano Magnago, Cairate, Tradate. Abbandonata la provincia di Varese e attraversata in un lampo quella di Como, eccoci finalmente nel lecchese, dove la tappa trova il terreno giusto per infiammarsi. Se i primi settanta chilometri sono di puro riscaldamento, gli ultimi cento minacciano di essere un inferno per molti dei corridori. A Calolziocorte, borgo natio della celebre animalista lungicosciata Michela Vittoria Brambilla, la strada prende a impennarsi e al bivio di San Gottardo comincia la prima salita di giornata. Dodici chilometri più in là e oltre mille metri più su, ad attendere i girini c’è il Valico di Valcava, una vetta che ha fatto la storia del Giro di Lombardia. L’arrampicata ha una pendenza media dell’8 per cento, ma i corridori farebbero la firma se la salita fosse tutta così: a quattro chilometri dalla cima la strada diventa un muro e si inerpica quasi in verticale (18% di pendenza!) per quasi trecento metri. Qui la gara tocca i vertici dell’epica: l’acido lattico ingolfa gli stantuffi, gli occhi si riempiono di lucciole fosfeniche e l’aria diventa polvere che scende nei polmoni. Poi le pendenze si fanno meno estreme, ma è solo al valico che si riprende a respirare. Si scende a capofitto in terra bergamasca per risalire alla Forcella di Bura (884 m). Si torna a scendere verso la Val Taleggio (che prende il nome da un celebre formaggio, ecc. ecc.) e ancora ci si inerpica, tornati nel lecchese, per raggiungere il Culmine di San Pietro (1254 m). L’ultima discesa porta verso Ballabio. Chi ha ancora fiato può decidere la corsa, chi non ne ha più può approfittarne per cercare di rifarselo. A otto chilometri dal traguardo scatta la salita verso il Pian dei Resinelli.
Più su ci sono la Grigna e la Grignetta, con l’obelisco del Campaniletto: le montagne su cui si arrampicava mio padre ventenne, all’inizio degli anni ‘50, spalla a spalla con Cassin, Carlo Mauri e Bonatti. La salita verso il piano, dove la famiglia Resinelli aveva il suo roccolo di caccia, non è proibitiva: la pendenza media non raggiunge l’otto percento, quella massima non supera il nove, ma l’ascesa è continua e ininterrotta e arriva al termine di una tappa massacrante, anche se non lunghissima (169 km). Chi vincerà? Impossibile saperlo. Come direbbe Carlo Porta, cui da queste parti è dedicato un rifugio: “Là, l’è mej piatalla lì”. E quindi, adesso, anch’io la pianto qui.

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