Il mio bar non è nel centro storico, non è snob, e nemmeno accoglie turisti attoniti a frotte, poi, meno di tutto, si finge folklore o rusticità d’accatto. Si annida in una strada commerciale, percorsa da romani in cerca di acquisti a buon prezzo. Ma è un bar felice. Gelati, aperitivi, happy hour, spuntini buonissimi: a ogni ora gente di ogni età ne affolla i tavolini senza pretese.
In un angolo, lo scienziato pazzo mordicchia il suo panino mentre annota equazioni, più vicino al marciapiede una famigliola porge il cono di crema al bimbo in carrozzina, due ragazze carine si raccontano ridacchiando l’ultimo shopping in bancarella, mentre una coppia di sposi di mezza età allunga le gambe sotto il tavolino, sospirando di fatica e sorridendosi in silenzio. Vivono, tutti. Davvero.
Alzo il mio tablet, inosservata tra la gente che sosta e che passa. Con calma, inquadro nell’ampio display la scena, come avessi fra le mani un banco ottico lieve, magico, alato. Sfrsccch. Non è un clic, è un fruscio. L’immagine è presa, un pezzo di mondo ora mi appartiene. Sfrsccch. Con amore.