Piove il cielo sulla città

Strano a dirsi, delle varie edizioni del Festival di Sanremo ricordo le canzoni, alcune in particolare, e questo a dispetto di chi invece ritiene la musica la grande assente sul palco dell’Ariston.

Ero poco più che adolescente quando scoprii la vertigine musicale: una sequenza di note si scioglieva in improvvisa profusione melodica, come acqua pura che tracimasse dall’argine. Il passaggio dalla tonalità minore della strofa a quella maggiore del ritornello, creava un vuoto, una specie di vuoto d’aria che toglieva il fiato, mentre Antonella Ruggiero dei Matia Bazar cantava con voce acutissima «Ma piove il cielo sulla città».

L’impeccabile tailleur di gusto retrò, la gestualità ricercata, gli accordi metallici che riecheggiavano atmosfere da musica elettronica, assai in voga negli anni Ottanta, tutto ben costruito: matematica dei suoni e ruffianerie da look, certo, ma la musica resta un mistero, ci commuove come un desiderio che riconosciamo tale solo quando esso si realizza in una forma di bellezza che non sapevamo di cercare con tutte le nostre forze.

Per me San Remo è questo, la gioia improvvisa, inattesa, della musica, tra le chiacchiere vacue e le papere dei presentatori, la volgarità provinciale del rituale televisivo e le classifiche, la sigla sempre uguale e il comico di turno con le sue provocazioni preconfezionate.

 

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