Ho sempre pensato che di un libro resti un’immagine. Nel senso di una polaroid stampata nel cervello che ogni qualvolta pensiamo a quel libro è l’immagine che torna subito alla memoria.
L’immagine di un mercato a Lisbona in cui il protagonista scorge la figura di una anziana donna, una figura sfuggente e rapida che poco dopo incontrerà nuovamente vicino all’acquedotto, un luogo isolato e tranquillo. Lei è sua madre e gli spiega che dopo la morte ha scelto di stare nella capitale portoghese, lui chiede subito se anche il padre sia lì, lei risponde che no, lui ha scelto Roma per via del colore di una tovaglia che gli piaceva molto. È John Berger in Qui dove ci incontriamo, storie belle e paradossali che, attraversando luoghi del mondo – Cracovia, Madrid, Londra, Ginevra – restituiscono un vivere disparato e disperato. Una mappatura di sentimenti, questo libro, bandierine puntate su luoghi e anni che hanno visto imbattersi una nell’altra due esistenze. Un romanzo che ricostruisce guardandosi indietro, abbattendo logiche e prassi, dove le cose della vita che sono state amate vengono riguardate e messe in una nuova dimensione. È il romanzo dei momenti perduti, e come il gioco dell’oca della vita, ci fa ripassare tutte le caselle. Lo lessi in due notti in un letto siciliano a baldacchino che vendetti alcuni anni fa: era il luogo perfetto per intrecciare una miriade di storie vissute con quella storia surreale e bella che stavo leggendo, perché Mi piacevano i libri che mi portavano in un’altra vita. Ecco perché ho letto i libri che ho letto. E ne ho letti tanti. Tutti parlavano di vita vera, ma non di ciò che stava capitando a me un momento prima che ritrovassi il segno e riprendessi la lettura. Quando leggevo, perdevo la nozione del tempo. Le donne si interrogano sempre rispetto alle altre vite, di solito gli uomini sono troppo ambiziosi per capirlo.