Polaroid del ricordo, Simone de Beauvoir

Dei libri che ho amato mi rimane nella memoria un’immagine, una polaroid del ricordo. Una coperta messicana e una sedia gialla in una stanza a Chicago è la polaroid che a molti anni di distanza ho de I Mandarini di Simone de Beauvoir. Un’amica mi regalò I Mandarini come dono di laurea, conoscendo bene la mia passione per l’autrice. Ricordo che iniziai a leggerlo due o tre volte, ma la mole contrastava con la mia appena ottenuta libertà (provvisoria) dagli studi. Quando lo ripresi ero nel mio letto da ragazza, nella casa dei miei genitori, una carta da parati fiorata sul nero, opaca, quasi in rilievo, la luce del comodino accesa, io stesa a leggere.
Sulla prima pagina ho appuntato 8-13 febbraio 1996: bruciai questo romanzo con la sete di chi non ne ha ancora abbastanza, di chi non ne avrà mai abbastanza. E tra quartieri parigini affollati di intellettuali, che si ponevano domande dandosi del voi, camminavo in mezzo a coppie sulla soglia della follia morbosa e del reciproco tradimento benefico (e a volte benedetto), ascoltavo esistenze perplesse e attonite nel dopoguerra e del dopoguerra tracciare scenari politici e filosofici. L’immagine che mi è rimasta stampata è quella coperta messicana, da allora quando ne vedo una sorridendo torno con la mente a I Mandarini.
L’ho vista con gli occhi di Anne Dubreuilh nella camera-studio di Lewis Brogan a Chicago, camera in cui si era rifugiata per sfuggire al lusso di un albergo pieno di colleghi e dove sarebbe iniziata la loro storia d’amore.
Vidi prima la coperta messicana, la sedia gialla di Van Gogh e poi i libri, il pick-up, la macchina da scrivere; ci si doveva sentir bene, in questa camera che non era né studio d’un esteta, né il prototipo della “bella casetta americana”. Dissi con uno slancio: «È piacevole qui da voi». 

 

Polaroid, Janet Frame

Polaroid, Goliarda Sapienza

Polaroid, Jeanette Winterson

Polaroid, John Berger

Polaroid, Jonathan Coe

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