Il capo chino per guardare i piedi,
ancora un sì per ascoltare
il suono della voce, la mia,
ché non si perda,
e il passo non allunga le distanze.
Ma c’è, da qualche parte, un dio
degli imbecilli a cui dà ascolto e conforto,
offre il suo corpo santo e scioglie
i mali per chi non ha più parte
a questo mondo.
Sorrido in mezzo al guado.
Mentre raccolgo i cocci
mi ferisco alla mano.
Chi è più imbecille
di me?