Mi piacerebbe da pazzi avere il suo numero di telefono.
Di Obama? Di Papa Francesco? Di Bono Vox? Macché! Vorrei chiamare lei, La Raffa nazionale. La sòra Pelloni dalla voce cristallina e piena. Le chiederei, tutto d’un fiato, “Oh Carrà, ma con chi ce l’avevi?!” e non mollerei l’osso finché la curiosità non fosse saziata a dovere. Nel ‘77 io avevo un anno, mica è facile ricostruire! Quello della Repubblica era Leone; quello del Consiglio, Andreotti (goal a porta vuota); quello della prima Rai a colori era Paolo Grassi (insospettabile): perciò quale sarà mai stato Il Presidente, bersaglio della dorata ugola? Ho riascoltato il brano. Ieri. Pareva che Boncompagni e un redivivo Bracardi l’avessero scritto cinque minuti prima.
In un ambiente signorile, tra tartine al caviale, lusso e signorilità, Si avvicina il presidente/Un signore affascinante/Mi racconta brevemente/Un po’ di sé/E poco fa/E poco fa/Abbiamo fatto qui un grande affare/E perciò le chiedo di ballare/Un po’ con me. Poi La Raffa abbandona la crème e la festa che manco Cenerentola, rincasa e s’addormenta. Al risveglio, sul giornale del mattino, ecco la foto dell’idolo ammanettato, e un titolo ignominioso: Arrestato il presidente/Ma si reputa innocente, e la poverella che resta a domandarsi Se il mio caro presidente/Un domani se la caverà.
Lo confesso, ho un sogno proibito: no, non vedere tale Silvio B., decaduto, provvisto di caschetto biondo, scatenarsi in un catartico Tuca Tuca; né fornire sali a Capezzone, o topolini sedativi alla rettiliana Daniela. Persino alla sfrenatezza delle perversioni c’è un limite.
Vorrei – uh, non sapete quanto! – possedere il 45 giri della Raffa, piazzarlo sul piatto, sollevare la puntina e ascoltare Il presidente.
Al contrario.
Per vedere se è vero, come dice mio marito, che tra i solchi incisi nel vinile è custodito il terzo segreto di Alfano.