Ricordo bene da ragazzina – in una Italia anni 50 – l’umiliazione di parole e gesti – per strada. Mi sentivo sporcata. Loro – maschi italiani – si sentivano nel loro diritto, ridevano. Io passavo a testa bassa.
e ricordo più avanti i ragazzi che andavano a puttane – come diritto/dovere – poveri piccoli stupratori inconsci –
con povere anonime tristi sconosciute –
mentre noi eravamo vergini (1959)
E lo sapevo da subito che quello che vedevo e sentivo arrivarmi addosso e nella carne non era, no, desiderio, ma odio e disprezzo
per loro no non ero bella, ero carne/bestia – e loro si sentivano uomini per quello – sopra di me
i visi arrossati sudati ghignanti – certo, scappavo veloce. Noi ragazze a quei tempi scappavamo molto veloci.
La prima volta che sono uscita di sera da sola – con una amica – avevo 25 anni. Milano eh, Milano
ricordo l’odio che mi era obbligo subire – e non vedere come odio, e fingere di non vedere
e la frase sei solo una donna
ecco: io, di origine borghese, laica, colta, Italia del nord, così ho imparato la differenza tra maschi e femmine
figuratevi se ho paura di farmi chiamare razzista se urlo contro questi che mi odiano, che siano qui, o a Colonia
– che teorizzino finemente o brutalizzino lietamente – che siano pallidi e laureati o mori e stranieri
Noi qui abbiamo lottato, qualcosa abbiamo conquistato, imperfetto ma prezioso. Quindi, abbiamone cura