A casa della nonna c’era uno stanzino, chiuso con una porta a vetri, tante piccole rose stilizzate che si ripetevano e che nell’insieme suggerivano l’idea di un alveare luminescente.
Un letto basso era accostato alla parete, su cui spiccava solitaria una vecchia croce di bachelite, incorniciata da illustrazioni della Passione con figurine a rilievo come boccascena in miniatura.
Il copriletto cadeva fino a terra, ma le pieghe si gonfiavano qua e là in modo sospetto, lasciando immaginare chissà quali misteri riposti nelle scatole che noi bambini non avevamo il permesso di toccare.
In fondo allo stanzino una finestra troppo grande affacciava sul buio delle scale ripide che dalla marina conducevano al terrazzo dei vicini. Le imposte erano quasi sempre chiuse.
Una scala a pioli pioveva dal soppalco. Qualche volta di nascosto mi avventuravo lassù, in quel cielo proibito, sfidando la paura e il tanfo di muschio e carbonelle che spezzava il respiro.
Interrogavo l’abisso, il pozzo orizzontale senza fondo dove sporgersi fantasticando su Pietro Micca o sui soldati romani alla conquista di Veio.
In ogni casa dovrebbe esserci uno stanzino dove custodire segreti, dove piangere senza vergogna e ridere senza pudore.