Abbiamo provato a contattare Vivian Maier attraverso l’interfono di Dio, non abbiamo avuto difficoltà con la linea bensì con i lunghi silenzi.
«Vivian» le abbiamo chiesto, «Vivian, lei è stata la nanny di tantissimi bambini a Chicago nel secolo scorso, ha fatto amicizia con molte delle loro mamme, ma nessuno è mai riuscito a sapere nulla di lei: dove fosse nata, quando, la storia della sua famiglia, nemmeno il suo nome preciso. Tutti dicono che era alta, molto alta, sempre sola, buffa nel suo modo di vestire, e con una camminata marziale. Tutti dicono che collezionava molte cose. Tutti dicono che era strana. Vivian, perché ha voluto sempre celarsi?»
«…»
«Vivian, tutti parlano di lei con affetto, come della bambinaia con la macchina fotografica al collo: la ricordano mentre scattava con la sua Rolleiflex ovunque e qualsiasi cosa, faceva spesso anche filmini e registrazioni audio. Cosa voleva fermare per sempre? »
«…»
«Vivian, ci dicono che col tempo era sempre più strana e faceva cose a volte pericolose, tutti erano convinti fosse malata, ma sempre con la sua fotocamera 6×6 al collo…»
«…»
«Vivian, alla sua morte hanno trovato migliaia e migliaia di rullini non sviluppati, video e audio cassette, oltre a tantissime altre cose che collezionava. Perché non stampava ma solo scattava? »
«…»
«Vivian, la persona che ha comprato per caso molti suoi negativi a un’asta ha capito che lei era una grandissima artista e ha cercato tutti gli altri suoi rullini, pare quasi quarantamila immagini, e ha rintracciato molte delle sue cose. Ora le sue fotografie vengono esposte nelle grandi città del mondo e la gente fa la coda per vederle e valgono molto e…Vivian, cosa pensa di tutto questo? »
«…»
«Vivian, col senno di poi…la sua vita? »
«La mia vita era il mio punto di vista»
Vivian Maier, Self-portrait, 1953
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