Pucci pucci, pensami e sarò tua,
desiderami e non andrò più via.
Da ogni tua parola dipendo e non mi difendo,
è l’appartenenza, la simbiosi, un’osmosi della pelle.
Se non ci sei vago smarrita e non è vita.
Pucci pucci è la nostra festa, lo vedi il mondo che gira e noi unici
Su una sola sponda, gli stessi occhiali a guardare dall’alto quei poveri cristi soli,
mentre noi dai baci affogati, all’unisono diciamo
non si può che essere innamorati.
E’ il motore che lancia le nostre vite, parole tue, poche a dire il vero, un po’ più di due.
Pucci pucci è il terzo San Valentino,
e tanti altri ancora ne verranno, non vedo l’ora
di aspettare il tuo rientro, e poi via, a lume di candela accesa contro vento.
Mi vestirò di rosso, e rosse le mie labbra,
e al collo la catenina tua come una promessa, espressa, perfetta.
Come siamo fortunati, pensa a chi rimane a casa e non festeggia,
a chi vede coppie come noi e dileggia
le mani intrecciate, le teste accostate, i sussurri nelle orecchie, li vede come peste.
Forse è solo un vecchio, o un giovane deluso
o uno che ha sofferto e non ci crede più, a se stesso illuso.
Davanti alla tv, non sa cosa si perde: i battiti, le apnee, lo stomaco rappreso, un certo languorino laggiù.
In questa serata che omaggia di menù i fidanzati, dove mi porterai, che regalo mi farai,
scommetto che hai un anello in tasca nella sua custodia blu
per non pensarci più e fare il gran passo.
Solo che… è un’ora che attendo dentro il portone, e al cell non rispondi.
In ritardo come sempre, il mio tesoro, questa volta mi cingono d’alloro sul podio della pazienza.
Pucci pucci, mannaggia, dove sei finito?
Un ingorgo, un incidente, un mal partito… e sono ormai due ore.
Non dirmi che hai scordato San Valentino come un bambino?
Che sacrilego stronzo, pucci mio del cazzo, lo sai che non ci puoi mettere un tappo,
ormai dilago: schifoso bugiardo, infingardo, faccia di bronzo, con un gong ti stronco
se domani non ti presenti con mille scuse e un mal di denti,
ti pianto in asso, ti butto al fiume, ti impicco alla trave.
Ti voglio morto come un sorcio dell’orto.