Quando m’innamoravo

Quando m’innamoravo ero piccolo, ma piccolo. Troppo piccolo per parlare o pensare d’amore, eppure.
Quando m’innamoravo, sulle montagne d’estate, la sera era uno spettacolo infilarsi a letto presto, prestissimo, per vedere qualcosa. Un viso enorme, occhi enormi e nessuna parola inutile. Sogni irraggiungibili, inafferrabili. Occhi enormi, guardati in silenzio, senza la paura del giorno pieno di gente e di risate imbarazzate.
Quando m’innamoravo si stava in qualche strada sporca, seduti scomodi, di striscio sulla Lambretta, a baciarsi che non bastava mai. La vita era da un’altra parte, e tirava nella sua direzione. Ma era sbagliata, la direzione della vita. La vita era su quella Lambretta.
Quando m’innamoravo mi dava appuntamento in riva al fico. Così diceva, mica è colpa mia. Il fico c’era, c’è ancora adesso, per la verità. Lei non c’è più invece, e mi sa che forse non c’è mai stata.
Quando m’innamoravo non capivo più niente. La volevo, la volevo sempre, a tutte le ore. Il suo profumo faceva girare la mia testa come un elicottero, mi tirava su, su, su e poi mi lasciava cadere nel mondo, senza rete di protezione. Erano dolori, fratture, carezze, schianti, resurrezioni.
Quando ancora m’innamoravo, il marciapiede era stretto stretto stretto e le macchine passavano. Il ristorante era cinese e la notte già vedeva il futuro. Vedeva le nuvole già oscurare una luna piena, preoccupata. Lei, la notte, sapeva, io no. Ma che importa, poi.
Ora è tardi. Dalla regìa mi fanno segno che è tardi e che devo chiudere. Ma io sono sempre io, ricordatevi.

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