Quarantena per Minou

 

«A Londres, a Londres» dice Michel mettendo giù il telefono.
Da quando l’ho iscritto al corso di recitazione è un continuo sparare parafrasi. Ma chi se ne frega, l’importante è che si vada. Il lavoro a Londra è nostro. Addio Parigi, sei una città carina, ma dopo due anni rompi le palle. Abbiamo tre giorni per preparare tutto. Le mie cose. Le sue cose. Le cose di Bisou. Ho detto Bisou? Cazzo, Bisou! Bisou è il nostro cane, un bassotto thailandese: sedici anni, mezzo sordo, mezzo cieco e con la capacità deambulatoria di una salsiccia già passata sul barbecue. Qual è il problema? Che in Inghilterra gli animali non entrano se non dopo sei mesi di quarantena e io il mio Bisou non lo lascio per sei mesi in un albergo per cani, controllato a vista dalle guardie reali. Urge trovare soluzione, e chi la trova? Michel, molto più pratico di me. «Lo portiamo dalla veterinaria e…»
«Te lo scordi, io Bisou non lo faccio sopprimere.»
«Chi ha detto sopprimere…»
«E nemmeno lo abbandono legato a un lampione di Montmartre.»
«Oh, basta, Alberto. Lo portiamo da Amélie e pensa a tutto lei.»

Il giorno della partenza, carichiamo la macchina e passiamo da Amélie. Stende Bisou sul lettino. Tira fuori un siringone da cavallo e lo riempie di sonnifero. «Dormirà per cinque ore. Pagamento in contanti. Non voglio lasciar tracce della cosa.»
Paghiamo. Scendiamo. Avvolgiamo Bisou in un maglione nero e lo mettiamo sul tappetino del passeggero. Viaggerà tra il sedile e le mie gambe. Arriviamo a Calais tutti gasati. Ve la facciamo vedere noi la quarantena, cari i miei pennelloni in colbacco. Solo che, appena arrivati, abbiamo un colpo: tre ore di attesa per l’imbarco. Oddio, ora Bisou si sveglia, comincia a far casino e finiamo in una galera inglese come Oscar Wilde. Ma Bisou non si sveglia e noi, piano piano, andiamo avanti. Eccoci ai controlli. «Nulla da dichiarare?» chiede la guardia. Hai voglia a far finta di non sapere l’inglese: siamo fermi sotto un cartello di due metri per due con la sagoma di un cane barrata da una gigantesca riga rossa. Per fortuna c’è Michel.
«Dichiarare? Certo, un cane nascosto sul tappetino, dietro i piedi del mio amico.»
La guardia lo guarda. Io guardo la guardia. Fra l’altro un bel ragazzo. Poi Michel scende dalla macchina, viene dalla mia parte, apre la portiera, si abbassa verso i miei piedi e tira fuori due bottiglie. «Voilà,  due bottiglie di Champagne. Fino a ieri ce l’avevamo per davvero un cane, ma con questa storia della guarnigione, pardonne-moi, della quarantena, abbiamo preferito abbandonarlo legato a un lampione di Montmartre.»
La guardia sgrana gli occhi. Di certo pensa che Michel è pazzo. Io faccio una faccia da lasci perdere, crede di essere spiritoso, e la guardia ci fa passare.
Un paio d’ore dopo siamo a Londra. Michel stappa una bottiglia di Champagne. Bisou dormirà altri due giorni.

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