Quartet, La vecchiaia non è roba da femminucce

Alcuni hanno la fortuna di diventar vecchi, ma… Quartet è la prima prova da regista di Dustin Hoffman, anni settantacinque.
Siamo in Inghilterra, in una Casa di Riposo per Musicisti, dove anziani artisti coltivano ancora il canto o si esercitano con gli amati strumenti. Uomini e donne non ripiegati su un passato di grande o piccola notorietà, ma vivaci senza per questo diventare macchiette. L’arrivo di un’ex-diva, soprano del belcanto, costringe tre amici e colleghi d’antan a tornare sui motivi della rottura del sodalizio a quattro che aveva segnato il culmine della loro carriera.
La Casa di Riposo ha bisogno di fondi e viene organizzato un evento destinato a procurarne. Tutti gli ospiti avranno l’opportunità di tornare a esibirsi davanti al pubblico. Il quartetto Bella figlia dell’amore, dal Rigoletto di Verdi, sarà il pezzo forte dello spettacolo. Ciò offrirà a tenore e baritono, ancora “prestanti”, e alla tenera mezzosoprano, un po’ svampita, il pretesto per coinvolgere nella “nuova” vita la ritrovata soprano. Interni curati, esterni da acquarello, interpreti mai fuori misura, sono alcuni dei punti di valore del film. Tocchi di umorismo e di affettuosa indulgenza, un venticello di gioventù che spira tra le arie cantate e suonate, facce e mani che il tempo ha segnato, fanno di questi novantotto minuti una bella riflessione sull’invecchiamento e sulla vecchiaia. I personaggi e gli interpreti, anziani e non, mostrano la dignità che dovrebbe essere di ogni vecchio o giovane.
Se andate a vederlo, fermatevi fino ai titoli di coda, ne sono parte integrante e motivano il senso vitale del film: La vecchiaia non è roba da femminucce*

*Bette Davis

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