Ci conoscemmo da giovani, per caso. Mi innamorai subito di lei. Sentivo ovunque il suo profumo, la sua voce. Ne amavo il suono, e quello che diceva mi emozionava. Era una ragazza bellissima. Aveva molti uomini attorno, non mi illudevo che potesse accorgersi di me. Semplicemente impossibile. Fu lei a dichiararsi, con le parole più semplici del mondo: «Anche io ti amo». Aveva capito. Fu il giorno più felice della mia vita, ed è durato trentasette anni. Non è stato facile. La sua famiglia avrebbe voluto un bel matrimonio in chiesa, e lei votata alla stessa carriera ─ del foro o casalinga poco importa ─ purché ordinariamente cornificata e cornificante, come tutti loro. Gente per bene, a differenza di noi. In tutti questi anni non hanno mai voluto sapere del nostro riso e del nostro pianto, delle nostre glorie e miserie. Avevamo sempre vinto, nonostante tutte le difficoltà e l’ostracismo della sorte e del mondo. Forse pure di Dio. Poi l’altro giorno ho sentito ancora la sua voce. Mi ha detto «amore mio» e poi il silenzio.
Al funerale non mi hanno voluta. E ora, estranea nella casa che fu nostra, sono senza alcun diritto. Forse mi sfratteranno. Da sola, ad affrontare una parte di vita che non avevo previsto, perché da sola erano trentasette anni che non prevedevo più nulla. E se davvero un Dio c’è, non so se pure Lui ora ride o piange di me, che ancora cerco il suo profumo. Forse, mi farà il dono della vecchiaia, o della forza per non affrontarla.